di don Gerardo Capaldo
“Tutti – rileva Ermes Ronchi – abbiamo l’idea di un Dio potente, glorioso, muscoloso, interventista”. La folla sfamata vuole che Gesù sia il loro re. Non ha capito il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, vuole solo avere la pancia piena? La fuga del Nazareno, invece, sconcerta. Raggiunto tempestivamente, Gesù afferma che il cuore dell’uomo non può essere saziato solo dal pane e dai pesci.
“In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la via eterna. Io sono il pane della vita” (Gv 6,41-51). Qualcosa di là da venire, di cui i Giudei non hanno alcuna idea. “Io sono il pane vivo che discende dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (idem).
Eppure bastava ricordare perché Caino aveva ucciso Abele, e innumerevoli altri casi simili. Il cuore dell’uomo, si dice, è così piccolo che il pugno di una mano lo può contenere, ma nemmeno il mondo intero lo può saziare. L’essere umano quanto più ha, tanto più vuole avere. Quanti conflitti si scatenano nel mondo per questa falsa fame e sete di grandezza egoistica.
Una presunzione che sconvolge ogni vincolo di fratellanza e lo stesso riconoscimento di un Essere infinitamente superiore, di una Parola e un Pane di vita eterna che può davvero nutrire lo Spirito e renderlo capace di evitare ogni spreco, assicurando a tutti il lavoro e il cibo necessario. Nascono così le polemiche degli scettici: chi è costui? Non è egli il figlio del falegname?