Non nascondono le loro perplessità sulle Indicazioni Nazionali della scuola dell’Infanzia e del Primo Ciclo di Istruzione Patrizia Granato, Rosa Anna Palumbo, Paolo Saggese, autori del volume La Scuola non si fermi all’Occidente. Luci e ombre dei “Materiali” delle “Nuove Indicazioni Nazionali 2025”,con prefazioni di Giuseppe Ciuffreda e Roberta Fanfarillo, Edizioni Conoscenza, Roma, 2025, promosso dalla FLC di Foggia. Il pericolo è che si finisca con il limitare la libertà di insegnamento, imponendo programmi e contenuti, a partire da un’idea di cultura identitaria e non universale, con l’obiettivo di giungere a un testo di storia unico “Nel momento in cui – si legge nella nota -si “censura” la Commissione, ribadendo che le “Indicazioni nazionali” non possono prefigurare un “curricolo nazionale” e il ritorno ai “Programmi”, nel momento in cui si critica l’enfasi per le conoscenze e per una didattica trasmissiva, nel momento in cui si sottolinea la necessità di un’educazione alla “cittadinanza globale”, nel momento in cui si stigmatizza l’impostazione identitaria dello studio della storia di contro ad un’impostazione universalistica, nel momento in cui si sottolinea la non piena condivisione della funzione che si attribuisce all’IA nella didattica, nel momento in cui si esprimono perplessità sull’insegnamento facoltativo del latino, si può affermare che buona parte dell’impalcatura del documento ministeriale viene meno”. Pubblichiamo di seguito, nel dettaglio, le criticità individuate da Granato, Palumbo e Saggese e dalla Flc Cgil di Foggia, illustrate in un documento
INDICAZIONI O PROGRAMMI?
- In premessa, sin dalle prime righe, si evidenzia che, sulla base del DPR 275/1999, art. 8, le “Indicazioni nazionali” sono “piste di lavoro” (p. 1), che sostituiscono i “programmi validi a livello nazionale”, che “non hanno più avuto ragione d’essere”: “Le Indicazioni Nazionali e il curricolo d’istituto connotano la scuola dell’autonomia: le Indicazioni rappresentano la garanzia di unitarietà e di validità del documento su tutto il territorio nazionale; il curricolo rappresenta lo specifico di ciascuna scuola, in quanto declina e contestualizza le Indicazioni”. A p. 3, si afferma in modo perentorio: “Inserire le conoscenze in un box in appendice. Le conoscenze inserite dopo gli obiettivi rischiano di essere considerate prescrittive e non suggerite, come invece è giustamente indicato dalla Commissione incaricata della redazione del documento. La declinazione delle conoscenze rinvia alla logica del programma. Un eventuale utilizzo pedissequo delle conoscenze può stridere con l’autonomia scolastica […]”.
- Si precisa, inoltre, sempre a p. 1, che “l’attività didattica non deve […] essere centrata sul possesso di conoscenze e abilità, sull’accumulo di contenuti, in quanto questi devono essere visti piuttosto come funzionali al perseguimento delle competenze attese, che permettano agli alunni di risolvere i problemi che si pongono nell’esperienza reale”.
Questi primi rilievi, poi sostanziati nelle pagine successive, sono in coerenza con quanto abbiamo evidenziato (ad esempio, Premessa dei curatori, pp. 10-11; Prefazioni di Giuseppe Ciuffreda e Roberta Fanfarillo, pp. 17-22; ancora pp. 40-45; pp. 75-78; p. 81; pp. 91 ss.), relativamente all’insistenza sui contenuti e sulla prescrittività di quello che diverrebbe un “curricolo nazionale”, che contraddice l’autonomia scolastica e limita fortemente l’indipendenza professionale e la libertà d’insegnamento dei docenti.
Il ritorno alla scuola delle conoscenze è stigmatizzato ancora a p. 3: “L’accento marcato sulle conoscenze fa emergere, inoltre, una scuola dell’insegnamento trasmissivo, che contraddice non solo la funzione docente – come delineata dalla normativa – ma limita e comprime la ricchezza delle competenze che a detta funzione si riconnette”.
Anche declinare i “contenuti” confusi con le “conoscenze ritenute rilevanti” non è considerato condivisibile. Andrebbe piuttosto “rafforzata l’autonomia delle istituzioni scolastiche nella scelta dei percorsi da realizzare” (p. 4). Si cita non a caso il “programma” di seconda primaria di Storia come paradigmatico di questa “confusione” e di questa prescrittività.
A p. 12 delle Indicazioni si individua un vero e proprio lapsus, che sottolinea il carattere ritenuto prescrittivo delle Nuove Indicazioni: “Sostituire, per meglio evidenziare l’autonomia delle istituzioni scolastiche, la definizione ‘curricolo nazionale’, che si riscontra a p. 12, con ‘curricolo di scuola e Indicazioni nazionali’” (p. 4).
Dunque, gli estensori delle “Nuove Indicazioni”, attraverso un lapsus calami, prospettano l’esistenza di un “curricolo nazionale”.
CHIAREZZA TERMINOLOGICA
A p. 2 si precisa che occorre “dedicare un paragrafo nella premessa alla chiara definizione di obiettivi, conoscenze, abilità e competenze” perché “sarebbe opportuno fugare finalmente dubbi e interpretazioni per la costruzione di curricoli d’istituto basati sugli obiettivi, oggetto di valutazione da parte dei docenti”.
CITTADINANZA “GLOBALE”
A p. 3 si sottolinea che, “sebbene sia esaltata la centralità della persona, il concetto di cittadinanza ‘globale’ risulta non sufficientemente sviluppato, in quanto evidenziato limitatamente alle competenze attese al termine della classe terza e alle conoscenze relativamente alla lingua inglese e alla seconda lingua comunitaria. Nel resto del documento si parla di cittadinanza collegata all’identità nazionale”.
Come si può ben vedere, anche noi, sin dalla Premessa (ad esempio, pp. 12 s.; anche 36-45), avevamo sottolineato il carattere identitario dell’impostazione delle Indicazioni nazionali in contrapposizione con l’apertura alla storia e alla cultura universali propria delle Indicazioni nazionali 2012. Riprendendo un concetto ampiamente sviluppato da Edgar Morin, noi sottolineavamo la necessità di contribuire a formare un cittadino “planetario”.
IA
Si ritiene riduttiva l’idea che l’IA sia semplicemente un supporto alla didattica tradizionale, “più che come una opportunità per trasformare il processo educativo, forse per il timore della perdita del controllo pedagogico da parte dei docenti” (p. 4).
Questo concetto dovrebbe essere, dunque, rivisto, alla luce dell’apertura delle Istituzioni scolastiche a questa ennesima rivoluzione tecnologica e antropologica.
MAGISTER
Si contesta l’idea dell’autorevolezza del “Magister” come dovuta e non come una conquista nel rapporto con gli studenti, e che presuppone la passività dell’alunno nel rapporto con il docente (p. 4).
Anche noi contestavamo l’idea di autorità così come declinata dalle Nuove Indicazioni nazionali (p. 28).
STORIA
Seppure avremmo preferito in modo più netto, nel Parere si afferma che “sembra che sia stato totalmente eliminato l’ambito di lettura e dell’interpretazione delle fonti” (p. 6), come si sottolineava anche nel nostro libro (p. 93 s.; anche 81).
Inoltre, si precisa: “L’incipit, tra l’altro, potrebbe essere percepito come polarizzante e la finalità dell’insegnamento della ‘Storia’ sembrerebbe accentuare la dimensione della disciplina come strumento per la costruzione di una identità nazionale più che come approccio tipicamente disciplinare”. All’incipit “Solo l’Occidente conosce la Storia” abbiamo dedicato molte pagine della Prima parte del volume (pp. 25-56).
Queste ultime parole dichiarano, seppure in modo molto cauto, il carattere totalmente ideologico e non pedagogico e didattico dell’impostazione di questa disciplina.
LATINO
La disciplina, facoltativa, rischia di ampliare (vedi p. 11) la forbice tra gli studenti (preoccupazione, che portò con la Legge 348 del 1977 all’abolizione del latino nella Scuola Secondaria di I Grado). Si rileva la difficoltà di attuazione, perché pochi docenti sono abilitati all’insegnamento del latino e paradossalmente un docente potrebbe insegnare la disciplina in 18 classi!
VERSO UN LIBRO DI STORIA “UNICO”
Ma ci preoccupa non meno una conseguenza di alcune delle scelte della Commissione autrice della bozza, ovvero: nel momento in cui si conservasse questa elencazione così particolareggiata dei contenuti come per la disciplina “Storia” si verificherebbe non solo il ritorno ai “programmi” – come sottolineato dal CSPI –, che sono in contraddizione con l’autonomia scolastica e che ledono anche la libertà e l’autonomia dei docenti, ma si imporrebbe una sorta di “Manuale unico di Storia”, con contenuti indicati dal MIM e con un’impostazione “identitaria” dell’insegnamento della disciplina voluta dal Ministero. Insomma, anche le Case editrici non sarebbero libere di proporre un proprio libro, i libri sarebbero fondamentalmente gli stessi, in serie, cambierebbe solo la Casa editrice e i curatori. Anche la soluzione di inserire in un box in appendice i contenuti non sarebbe una soluzione risolutiva al rischio di imporre, anche solo indirettamente, una sorta di “Manuale unico di Storia”.
Insomma, il MIM comunicherebbe attraverso il suo Decreto alle Istituzioni scolastiche esattamente quali contenuti inserire nel “curricolo”, ma anche con quali finalità, e imporrebbe anche alle Case editrici la struttura e i contenuti dei propri testi.
Si sposa in tal modo una “pedagogia del modello”, che vorrebbe imporre un’idea di cittadino, pedagogia ormai superata sin dai “Programmi” del 1985.
Si può considerare valida questa scelta? Ci chiediamo. Anche questo ci preoccupa non poco.