di Rosa Bianco
Atripalda ha vissuto ieri sera un evento letterario di alto spessore culturale, con la presentazione del nuovo romanzo giallo del prof. Franco Festa “La fine del gioco” – ed. Robin, presso la Biblioteca Comunale. Non si è trattato soltanto di un incontro con l’autore, ma di un dibattito appassionato sulla città, la politica, la cultura e il ruolo dei giovani nel presente e nel futuro della comunità.
Il romanzo, che segna una nuova tappa nel percorso narrativo di Franco Festa, si muove tra le atmosfere del giallo e la profondità della riflessione civile. Al centro c’è la figura del commissario Melillo, giunto a un momento di svolta esistenziale: l’indagine investigativa si intreccia con una crisi personale e con la presa di coscienza di una comunità lacerata dal male, dall’individualismo e dalla perdita di punti di riferimento. “La fine del gioco” non è solo il titolo, ma il segno di un passaggio: il tramonto di un certo modo di intendere la vita pubblica e privata e la ricerca di un nuovo senso. Il giallo si trasforma così in un viaggio interiore, in cui i giovani – apparentemente disincantati e distratti – emergono come gli unici veri depositari di speranza e possibilità di cambiamento.
I saluti istituzionali del Sindaco Paolo Spagnuolo hanno aperto la serata, sottolineando l’importanza della cultura come collante sociale e terreno di confronto.
È seguito l’intervento del dott. Ennio Loffredo, che dopo aver analizzato a fondo il romanzo e averne disvelato la forte componente autobiografica e ideale, ha individuato nelle pagine di Festa una certa “melanconia di sinistra”. Loffredo ha operato un parallelo tra Avellino e “Le città invisibili” di Italo Calvino, evidenziando come le città calviniane, parimenti al capoluogo irpino, siano metafore dell’esistenza, del rapporto tra spazio e memoria, identità e collettività. Esse non raccontano soltanto luoghi immaginari, ma svelano la natura delle città reali: in questo caso Avellino, che diventa simbolo e specchio della condizione umana. Per Loffredo il romanzo invita a colmare la frattura tra passato e presente, recuperando un legame con la memoria, per ritrovare senso e continuità. Ha concluso con un’esortazione intensa: «Bisogna imparare ad apprezzarsi e a cercare continuamente, anche in mezzo al mare e all’inferno, ciò che davvero vale per durare nel tempo, attraverso il dialogo con i giovani. Io credo che questa debba essere la cifra e la finalità del nostro impegno».
Di grande intensità è stato l’intervento del Direttore del Corriere dell’ Irpinia Gianni Festa, moderatore dell’ incontro, che ha letto nel romanzo di Franco Festa una parabola civile oltre che narrativa. Egli ha individuato nella “parte terminale del male” la chiave di volta del personaggio di Matarazzo, l’altro commissario protagonista del romanzo: la sconfitta della città, la perdita della comunità, l’isolamento dell’intellettuale che si ritira nella solitudine, decretando così una sorta di “morte civile” della collettività pensante. Da questa condizione di vuoto – ha avvertito Gianni Festa – si apre la strada al malaffare, che trova terreno fertile in una società smarrita e priva di anticorpi morali.
Il Direttore ha tracciato un parallelismo netto tra la vicenda letteraria e la realtà cittadina, sottolineando come il populismo leggero e l’illusione di una politica ridotta a spettacolo abbiano contribuito a svuotare di senso il pensiero critico, trasformando il cittadino da protagonista a spettatore. Uscirne – ha ammonito – è un percorso lungo e difficilissimo: occorre un cambiamento di mentalità, il recupero dei valori fondanti di una società, che affonda le radici nella tradizione contadina e nella sua dignità.
Ma l’intervento non si è chiuso nel pessimismo: Gianni Festa ha indicato una strada di resistenza e di rinascita, affidata a una rinnovata coscienza collettiva. Ha invocato coraggio e responsabilità, la capacità di denunciare il malaffare senza girarsi dall’altra parte e la forza di ritrovare orgoglio e protagonismo culturale, quale quello che in passato seppero esprimere figure straordinarie della provincia irpina, come Francesco De Sanctis e tanti altri. In questa prospettiva, “La fine del gioco” non è soltanto un romanzo, ma un atto d’accusa e insieme un invito alla ricostruzione etica e civile.
Di grande spessore filosofico è stato l’intervento del prof. Luigi Anzalone, che ha letto “La fine del gioco” come una sorta di “sciarada” letteraria: un enigma disseminato di indizi, capace di moltiplicare i significati e aprire sentieri interpretativi sempre nuovi. Anzalone ha individuato due paradigmi fondamentali nella costruzione narrativa di Franco Festa: il capovolgimento e il doppio. Melillo e Matarazzo, i due commissari, diventano così specchi l’uno dell’altro, incarnazioni opposte, ma complementari: il vecchio che dialoga con i giovani e il giovane che rappresenta la continuità, in un gioco di rimandi che attraversa tutto il romanzo.
La sua analisi si è soffermata anche sulla dimensione più intima e lirica del testo: i capitoli in corsivo, lettere d’amore dedicate a una donna – forse l’amata consorte, forse un’evocazione letteraria – che conferiscono al romanzo una cifra amorosa e non solo noir. Secondo Anzalone “La fine del gioco” è infatti prima di tutto un atto d’amore verso la città, pur rappresentata nella sua immagine dolente e “maleodorante”, incapace di guardare se stessa, voltandosi dall’altra parte. Eppure, tra le pieghe del pessimismo, resta saldo il principio di speranza, affidato ai giovani, protagonisti silenziosi, ma decisivi di un possibile riscatto. È una speranza che Anzalone ha paragonato, richiamando il pensiero di Giambattista Vico, a una foglia verde che resiste e non muore mai. Franco Festa – ha concluso il filosofo – non si rivolge a tutti indistintamente, ma a una “aristocrazia dello spirito”, minoritaria ma vitale, che può ancora custodire la fiamma di un cambiamento. Il libro del prof Festa è dedicato “Ai viandanti di notte, alle Menadi, ai posseduti da Dioniso e agli iniziati » – conclude il prof Anzalone – rievocando la famosa citazione di Eraclito, a suggello della vocazione del romanzo: un invito alla ricerca incessante, alla conoscenza e all’inquietudine creativa.
Molto significativi sono stati gli interventi dal pubblico: il Dott. Carmine Cioppa ha ricordato il ruolo storico della biblioteca e dei circoli culturali locali, sottolineando come questi spazi abbiano da sempre rappresentato luoghi di incontro tra scrittori, artisti e musicisti, fondamentali per la crescita culturale della città. La biblioteca – ha detto – rimane un presidio di conoscenza e memoria, in grado di proiettare la comunità verso il futuro.
L’Onorevole Alberta De Simone ha offerto un ritratto appassionato della città, tra memoria e analisi politica. Ha ricordato il valore di una borghesia intellettuale, che un tempo guidava con equilibrio e intelligenza e ha denunciato il progressivo allontanamento dei politici dai cittadini, sostituito da comunicazioni digitali impersonali. La sua riflessione ha toccato il nodo centrale della responsabilità intergenerazionale e della necessità di recuperare rapporti umani e diretti nella politica.
Romeo D’Adamo ha sottolineato, con un’attenzione particolare, il legame tra l’esperienza amministrativa e le scelte morali e civiche raccontate nel romanzo, evidenziando come la politica diretta e partecipativa sia fondamentale per evitare il diffondersi del malaffare e dell’individualismo.
Franco Festa ha, infine, chiuso l’incontro con un intervento personale e intimo. Ha raccontato la difficoltà di portare nello scritto le contraddizioni della città e di sé stesso, evidenziando come i personaggi del romanzo nascano autonomamente durante la scrittura, rivelando aspetti profondi e spesso inaspettati della realtà che li circonda. Festa ha sottolineato il ruolo dei giovani, e con loro l’ intero mondo della scuola, come protagonisti della storia e della speranza, osservando come siano spesso fraintesi dagli adulti, ma capaci di essere portatori di cambiamento.
La serata ha confermato come “La fine del gioco” non sia soltanto un romanzo giallo, ma una riflessione profonda sulla città, sul male sociale e sull’impegno collettivo. La cultura, come ha dimostrato il prof. Festa, è strumento di analisi, di memoria e di speranza.
In un momento storico segnato dall’isolamento, dall’individualismo e dalla distanza tra istituzioni e cittadini, la biblioteca di Atripalda ha saputo ospitare una serata, che ha unito introspezione letteraria e analisi sociale, offrendo al pubblico uno sguardo critico, ma insieme pieno di fiducia verso le nuove generazioni.