Tre mesi sono un tempo breve ma sufficiente per un primo bilancio del governo Meloni. La cattura del boss mafioso Matteo Messina Denaro ha spostato l’attenzione mediatica e tralasciato le questioni programmatiche che ora, però, si riaffacciano prepotentemente. I problemi interni con gli alleati, le riforme costituzionali (presidenzialismo e autonomia delle regioni), il Mes (il meccanismo europeo di stabilità), le polemiche sulle accise sulla benzina e l’annoso tema della giustizia solo per fare un sommario elenco, sono i temi più rilevanti nell’agenda del governo. Proprio su quest’ultimo punto, l’intenzione della Meloni è quella di siglare una sorta di tregua con i magistrati che hanno polemizzato con il ministro Nordio che, dopo l’arresto di Messina Denaro, ha dichiarato di voler ridimensionare il potere dei pm e limitare l’uso delle intercettazioni. La garanzia migliore per Palazzo Chigi è, almeno al momento, l’assenza di una opposizione. Il Pd è alle prese con il suo congresso e si occupa più di diatribe interne che di contrastare il governo. Il rapporto con i Cinque Stelle è ancora burrascoso dopo la rottura delle ultime politiche e non è facile nemmeno una ricomposizione elettorale con i centristi. Le forze di opposizione, insomma, procedono in ordine sparso e questo rende più stabile la navigazione della Meloni. Resta dunque da capire come intende procedere proprio il Presidente del Consiglio che ama definirsi una “underdog” cioè una persona che è partita senza essere ricca di famiglia, cresciuta in un quartiere popolare, senza le amicizie che contano, senza essere vicina a quei potenti che nell’immaginazione diffusa manovrano il potere da dietro le quinte. Un identikit che non le ha impedito di arrivare a Palazzo Chigi ma che adesso deve scegliere se continuare a recitare questo ruolo oppure assumere le caratteristiche di una leader di una moderna destra conservatrice che l’Italia non ha mai avuto. Deve insomma passare dal ruolo di outsider a quello di premier di uno dei Paesi più importanti dell’Unione. Alessandro De Angelis ha scritto che la Meloni è ad un “bivio non dissimile da quello in cui si trovò Salvini col governo Draghi: evolvere nel nuovo contesto o governare col cuore fermo alla fase precedente. E infatti ogni dossier è sospeso tra propaganda delle vecchie (inservibili) parole d’ordine e realtà, dall’immigrazione, al Mes al Pnrr. E’ altresì il bivio tra la duttilità di una cultura maggioritaria, che offra al paese, nel suo insieme, un orizzonte, di cui al momento non v’è traccia, e il minoritarismo di chi riduce tutto a una questione di fedeltà, disciplina, spettri di inciucio. In definitiva: tra la maturazione di una leadership e il governo confuso con un campo Hobbit”. Le campagne elettorali in questi ultimi anni hanno avuto un inizio ma spesso non una fine nel senso che le promesse fatte sono state riproposte per diverse legislature. La Meloni ha già sperimentato, sulle accise e sul Mes, quanta distanza c’è tra il parlare con gli elettori e la realtà del governo, era accaduto anche ai Cinque Stelle e in precedenza al centrodestra e al centrosinistra. Ironicamente Aldo Grasso ha scritto che i politici si comportano come i gamberi, il loro orizzonte è sempre dietro le loro spalle. Non solo questo governo ma questa legislatura meriterebbe, invece, visto il chiaro risultato elettorale, una maggiore assunzione di responsabilità. Destra e sinistra, con la parentesi grillina, si sono alternate alla guida del Paese continuando a giocare ad uno stucchevole scaricabarile è arrivato il momento di un salto politico e culturale. La destra che ha vinto le elezioni e Giorgia Meloni hanno il compito e le possibilità di offrire al Paese risposte politiche all’altezza di questi tempi difficili.
di Andrea Covotta