di Emilia Dente
E noi che facciamo ? Con questa domanda, diretta e molto impegnativa, il professore Paolo Saggese conclude l’articolo Paulo Freire, la pedagogia della speranza e dell’autonomia, pubblicato, giorni fa, sul Corriere dell’ Irpinia. L’articolo è molto importante e significativo. L’ esperto Dirigente Scolastico ben conosce la drammatica condizione della scuola odierna e le tante criticità del territorio meridionale, e, con amara lucidità, sa che le previsioni sono poco felici per la situazione futura, che si complicherà ulteriormente nell’ipotesi dell’Autonomia differenziata. Ma… “insegnare esige la convinzione che il cambiamento è possibile” sosteneva il pedagogista brasiliano Paulo Freire , e, partendo da questo assunto fondamentale, Saggese propone di prendere coscienza che la speranza è motore fondamentale del cambiamento.
Succede però, nella Terra di mezzo, tra rupi pietrose e borghi desolati, che avere speranza sia un atteggiamento spesso frainteso e, da risorsa quale è, la speranza venga ritenuta una debolezza e una condanna. Si pensa, tante volte, che chi continua a sperare e, nel caso specifico, chi continua a credere nelle potenzialità e nel cambiamento della terra meridionale, sia solo un utopista, un ingenuo, un romantico di altri tempi, o addirittura un immaturo e un fallito. Non è così e in fondo lo sappiamo tutti in questa ipocrita, debole e corrotta società. La speranza è la scintilla che origina ogni progresso e ogni cambiamento. Da sempre. È la linfa feconda che alimenta ogni idea coraggiosa che germoglia e fiorisce. La speranza genera, sostiene e struttura l’audace resistenza, la caparbia resilienza e ogni illuminato passo sui sentieri del futuro. Senza speranza all’essere umano non resta né luce, né gioia né vita. Senza speranza ci si abitua al peggio e ci si abitua a morire. Ma spesso, troppo spesso, al Sud dell’Italia e al sud della vita, la speranza ha un costo troppo elevato. Costa fatica, costa sentimento e costa fiducia, costa amarezza e costa lacrime, a volte costa la vita stessa.
Ci vuole tanta forza per sperare e tanta energia perché chi è infiammato dalla passione non si spegne nell’inerzia e trova sempre il modo di sostanziare e dare corpo alla speranza mettendo in atto idee, progetti, azioni e tutte le proprie risorse, spirituali, fisiche e mentali affinché l’astratto desiderio divenga concreto beneficio per i singoli e per la comunità. E allora è necessario un deciso cambiamento di prospettiva riconoscendo in colui che ha la forza e l’audacia della speranza la persona coraggiosa da sostenere, il visionario, il lottatore, il temerario che custodisce i semi del futuro. È vivo chi spera, è luce nei vicoli bui dove ci si rassegna all’agonia, è seme fecondo nei solchi aridi dell’indifferenza. È un bene prezioso e inquieto la speranza, ha robuste ossa sociali e cuore intrepido, ha occhi lunghi e respiro potente per rigenerare il tessuto lacero di comunità fragili che, sulla soglia dell’abbandono, solo uomini e donne di speranza ormai possono salvare.