di Franca Molinaro
Lasciamo i Prati di Tivo ancora sonnolenti, sotto i bagliori del sole che investe il Corno Piccolo del Gran sasso d’Italia. L’aria è frizzante e la vegetazione da brughiera, sono gli ultimi pascoli della montagna, poi c’è la roccia bianca, un sasso gigantesco scagliato sulla terra da una divinità preistorica. Le graminacee sono inaridite ma ancora appetibili per greggi di pecore e mandrie di cavalli. Qua e là spunta graziosa la piccola achillea, bianchissima e profumata, il pascolo, nonostante il caldo riserva ancora sorprese. Tra i ciuffi folti di graminacee si nascondono timidi piccoli fiori, sono garofani, campanule di varie specie, alchemille, qualche senecio. Si fanno ammirare diversi cardi e carline con i loro grandi fiori spinosi ma, sopra tutti si impongono regali i verbaschi dal morbido tomento e i fiori luminosi quasi a sfidare il sole. Il tripudio di giallo macchiato dall’arancio delle antere attira impollinatori d’alta quota. Non manca l’oro di montagna, l’origano rosso ancora in fiore, e il Thymus praecox abbarbicato sulle rocce o tappezzante al suolo concimato di stallatico. Nei ristagni di qualche sorgente, la piccola Parnassia palustris si fa notare grazie al fiore bianco; ancora in fiore Hypericum perfoliatum, Mentha longifolia, Angelica sylvestris, giunchi vari. Qua e là, arbusti di biancospino, Rhamnus alpina, Lonicera alpigena, Sorbus mas, Juniperus communis, formano piccole macchie. Non manca una specie di Heracleum gigante, probabilmente spondilium, che lascia immaginare quello temutissimo montegazzianum.
Da questi prati Ginevra Bartolomei in Mirichigni, falciava erba, la arrotolava, la caricava sul capo e la portava verso gli stazzi dove, ancor oggi le indicazioni del parco riportano “Casetta Mirichigni”. A quell’epoca indossava scarpe di spago vegetale che lei stessa confezionava, fresche e leggere ma, sicuramente poco pratiche se considero lo stato delle mie calzature di tela dopo una breve camminata di erborizzazione tra le spine di tutti i cardi che popolano le fiancate erbose. Le sue gambe, che in tarda età, lei benediceva per tutto quanto avevano dovuto sopportare, a quei tempi erano agili e forti, leste percorrevano quel sentiero oggi indicato con “Pietracamela 45’”, che collega i Prati di Tivo al paese più a valle sul versante Nord Ovest della montagna. Lasciandoci alle spalle i pascoli, io e uno dei soci più giovani, Giuseppe Grieco, ripensiamo a lei e la immaginiamo come una Grande Madre, forte, coraggiosa, una di quelle donne di cui si è perduto lo stampo, ma la cui anima continua a vivere tra quelle montagne. Ci par di sentirne anche la voce, quando, con le compagne si recavano in pellegrinaggio e insieme intonavano il canto alla Madonnina del Gran Sasso “…A mezzogiorno vanno i rondinotti a schiera sfiorando con le alucce nere quel mazzolin di fior…”, canto interpretato dalle signore di Pietracamela, sotto la guida della maestra Lidia Montauti. La premiammo a marzo, la Gina, Premio alla Memoria in occasione del X Raduno dei poeti dialettali della Grande Madre, mai avremmo immaginato che un giorno saremmo venuti sui suoi passi insieme a Emidio Natalino De Rogatis che la segnalò raccogliendo la documentazione richiesta dal premio. Per noi della Grande Madre è una gioia indescrivibile perché il nostro premio nasce proprio con l’intento di riscattare quei personaggi meritevoli di gloria ma che in vita sono restati in ombra.
Ora, grazie al lavoro del nipote Graziano Mirichigni, della dottoressa Silvia Pallini e del professore Giovanni Agresti, grazie anche all’artista, dott.ssa Mara Di Giammatteo che ne ha interpretato la poetica e l’ha resa immagine portandola in giro per il mondo, la Gina assume un ruolo trainante nella revisione e rinascita della piccola comunità pretarola. Nei piccoli centri hanno un ruolo importante anche i sindaci e le amministrazioni, lo vedemmo con Anna Oliviero, sindaco di Torrioni, in prima persona a soccorrere i concittadini bisognosi, lo abbiamo visto con Antonio Villani sindaco di Pietracamela. L’entusiasmo e l’abnegazione di quest’uomo per il suo paese è cosa riscontrabile solo nei piccoli comuni, quelli che rischiano di scomparire, dove la scelta di assumere il ruolo di sindaco non è una questione economica ma è dettata dall’amore per il territorio. È la figura di sindaco che ho sempre amato e in virtù della quale un tempo mi sarei candidata, costoro son capaci di gestire tutto, dalla parte culturale a quella tecnica, dal microfono al buffet, rispondono se gli telefoni oppure richiamano. Così, dietro il suo invito, noi della Grande Madre ci siamo ritrovati in terra d’Abruzzo, come pastori transumanti che in marzo tornano alla montagna incrociando più volte quel Regio Tratturo percorso dagli antenati irpini allevatori. Appuntamento in piazza, poi, attraverso i vicoli antichi percorsi da Ginevra quando andava al lavatoio, alla chiesetta o al mulino, i paesani e noialtri, come in pellegrinaggio, abbiamo raggiunto il Col del Mulino dove un piccolo anfiteatro di pietra ora porta il suo nome.
La targa che è stata inaugurata in questa occasione porta la dicitura: “Teatro del Col Mulino, Ginevra Bartolomei – la Gina, poetessa pretarola (1907-2007)”. Momento di orgoglio e di commozione per i Pretaroli e per tutti i presenti, momento di gioia e di riconoscenza a chi ha voluto questo, qui non si celebrano solo i D’Annunzio o i Croce, qui si riconosce il valore di una umile popolana che ha lasciato forte la sua impronta. Orgogliosi di essere in qualche modo artefici anche noi del suo riscatto, torniamo a valle lentamente, lungo i numerosi tornanti che serpeggiano nel bosco fitto di faggi prima, poi di castagni e infine di latifoglie a valle. I paesaggi sono mozzafiato, si passa in fretta da una fascia di vegetazione all’altra, ora le altissime pareti rocciose mostrano ciuffi di elicriso sfiorito, macchie di ginepro e lentisco, lungo il torrente salici e pioppi, robinie rigogliose gratificano l’acqua. Si riprende presto a salire per valicare l’appennino sul Passo delle Capannelle, tra mandrie e ciclisti, paesaggi ruvidi di cardi, tappeti di Satureja montana, cicorie in fiore, qua e là abbeveratoi e stazzi, pastori motorizzati, cani dal bianco mantello, colori ocra di erba semisecca punteggiata da bianche stelle di Cephalaria leucantha, contro un cielo incredibilmente azzurro. Già il sole picchia e i paesi all’orizzonte rompono l’incanto, il tempo torna a scorrere nella sua dimensione abituale, lontani i boschi, lontana la cascatella del mulino che canta e rigenera, svanito il timore che un orso marsicano possa sbucare sul sentiero nella faggeta.
Torniamo a casa a raccontare ai soci assenti questa esperienza fuori dal tempo, della cena a base di pecora alla callara, del pranzo preparato dalla mamma di Graziano, sull’aia di Ginevra, sotto un Prunus cerasifera dai succosi frutti maturi. Ancora Ginevra ci accompagna e benedice il nostro sereno rientro, senza intoppi, senza traffico. La portiamo nel cuore e con essa le duecento anime del suo paese. “Fossimo più vicini!” penso, uniremmo le forze, e invece deve essere il suo spirito a innescare la scintilla per ripartire, così come è riemersa deve perseverare, sarà la sua lingua “degna”, saranno le poesie, le armonie dei suoi canti, a indicare una strada, un metodo per evitare che tutto scompaia, dalla lingua alle persone, alle tradizioni, al paese stesso inghiottito dalla natura, madre e matrigna che tra le sue braccia protegge e stritola. Rincasiamo più ricchi di amore, di speranza, di gratitudine, un pensiero e una preghiera ancora per lei affinchè, come Grande Madre, dal suo regno di luce possa illuminarci nel cammino.