Gianni Festa, direttore del Corriere dell’Irpinia, si racconta sul Corriere del Mezzogiorno. In un articolo apparso oggi sulla rubrica, “La mia prima volta”, ripercorre la sua lunga carriera da giornalista, cominciata a diciotto anni.
“Il Corriere dell’Irpinia, fondato nel 1923 da Guido Dorso – scrive Festa -, era diretto da un omaccione dai toni burberi, ma dall’animo nobile: Angelo Scalpati. Entrai a far parte della giovane pattuglia di collaboratori e nel tempo diventai il suo braccio destro”.
E ancora: “D’improvviso dall’altoparlante dell’albergo in cui ero ospitato mi avvertivano che ero desiderato al telefono. Corro, dall’altro capo del filo un collega con la voce sofferente mi avvertiva che il direttore Scalpati era morto e che io avrei dovuto rientrare subito per sostituirlo. Di fretta e furia racimolai un po’ di biancheria e corsi in stazione per prendere il primo treno in partenza per il Sud.
Per tutto il viaggio intriso di dolore il mio pensiero fu rivolto a come avrei potuto commentare sul settimanale in
uscita l’addio terreno del direttore. Arrivai trafelato in redazione, era notte fonda. Provai e riprovai incipit e nonostante i tanti tentativi non riuscii a mettere insieme un ricordo che potesse dare onore allo scomparso.
D’altra parte, quello sarebbe stato il mio primo editoriale in assoluto. Si rischiarava ormai il cielo annunciando l’alba quando con gli occhi assonnati mi venne un’idea. Presi un foglio bianco, disegnai lo spazio su due colonne dell’editoriale che solitamente redigeva il direttore e detti il titolo: «Ho finito» lasciando le due colonne in bianco. E firmai in calce «Angelo Scalpati»“.
Festa racconta tante avventure che hanno segnato la storia: “La prima volta della paura fu quando, nel 1982, inviato in Medio Oriente, vidi puntarmi al petto – da un ragazzo che giocava a fare la guerra – un Kalashnikov pronto a essere usato. Raggelai. In un attimo vidi passare davanti ai miei occhi le immagini più significative della mia esistenza, dai miei cari alla vita che stava per andare via.
Poi il mitra si spostò da me verso il cielo e il ragazzo iniziò gridare a squarciagola i nomi dei giocatori della nazionale italiana di calcio: «Cabrini, Rossi» e ripeté più volte il nome di «Pertini, Pertini, Pertini…». Mi aveva
salvato lo scudetto tricolore sulla maglia militare che indossavo. La vittoria dell’Italia ai mondiali era fresca e per
fortuna quel ragazzo era un tifoso degli Azzurri“.