di Virgilio Iandiorio
Non si finisce mai di proporre dei cambiamenti alla Scuola, nella speranza di trovare il rimedio sicuro a tante forme di deriva, che si registrano puntualmente ogni anno scolastico. Possiamo trovare utili indicazioni nei grandi pensatori del passato.
Sant’Agostino (Tagaste 354-Ippona 430) nel suo libro De Magistro dialoga con il figlio Adeodato (che morì giovanissimo all’età di circa sedici anni) sul significato dell’insegnamento. Un tempo i “maestri” dialogavano con i loro discepoli, e le loro parole erano finalizzate a risvegliare le idee, che i discepoli portavano già nell’anima.
Alla fine del dialogo Sant’Agostino così scrive:” E i maestri dichiarano forse che siano ritenuti per l’apprendimento i loro pensieri anziché le stesse discipline che pensano di trasmettere con la parola? E chi è cosi scioccamente amante del sapere da mandare a scuola il proprio figlio perché apprenda ciò che pensa il maestro? Piuttosto, quando hanno esposto con parole tutte le discipline che dichiarano d’insegnare, comprese quelle della morale e della filosofia, allora i così detti discepoli considerano nella loro interiorità se le nozioni sono vere, sforzandosi, cioè, d’intuire la verità ideale. Soltanto allora apprendono e quando scopriranno nell’interiorità che le nozioni sono vere, lodano, senza pensare che non lodano i docenti ma i dotti se, tuttavia, anche costoro sanno quel che dicono. S’ingannano dunque gli uomini nel chiamare maestri quelli che non lo sono perché il più delle volte fra il momento del discorso e quello della conoscenza non v’è discontinuità; e poiché dopo l’esposizione dell’insegnante immediatamente apprendono nell’interiorità, suppongono di avere appreso da colui che ha esposto dall’esterno”.
Gli alunni, ieri come oggi, sono un poco come le farfalle: se sono libere di volare mostrano la bellezza e la vivacità dei colori delle loro ali, ma se si prova a tenerle ferme, chiuse tra le mani, perdono subito i colori della loro bellezza.