Il gran polverone sollevato da Luigi Di Maio con relativa minaccia, poi non mantenuta, di denuncia alla Procura della Repubblica per una grave manipolazione, non dimostrata, del decreto fiscale allegato alla manovra di bilancio 2019, ha fatto passare in secondo piano l’isolamento in cui si è trovato Giuseppe Conte al Consiglio europeo di giovedì, dove nessuno dei capi di Stato e di governo presenti insieme ai vertici della Commissione Junker e del Consiglio Tusk ha preso le difese dell’Italia, accusata di una “deviazione senza precedenti nella storia del Patto di stabilità” che prelude ad una bocciatura della manovra e all’avvio di una procedura di infrazione che avrà effetti nefasti sui nostri conti pubblici. La brusca impennata dello spread e la caduta della Borsa negli ultimi due giorni di contrattazione sono solo un’avvisaglia di quanto potrà accadere nelle prossime settimane: l’allarme è giunto fino al Quirinale, e il Capo dello Stato ha ribadito il suo impegno a vigilare per impedire ogni deviazione da un percorso virtuoso che trova solidi agganci nella Costituzione e nella fedeltà agli obblighi assunti con l’Europa.
Quella che si è palesata a Bruxelles è in sostanza la solitudine dei sovranisti nostrani, isolati dagli altri fondatori dell’Europa unita (Francia e Germania in testa) e abbandonati al loro destino anche dai presunti alleati euroscettici, che non vogliono essere infettati dal virus di una politica economica avventurista che dall’Italia potrebbe propagarsi in tutta Europa. Tra i più severi, quasi sprezzante, il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, presidente di turno dell’Ue e già interlocutore privilegiato di Salvini: “Non abbiamo comprensione per la proposta di bilancio che l’Italia ha inviato a Bruxelles; non pagheremo certamente le promesse elettorali e populiste degli altri. Ci aspettiamo quindi che il governo italiano rispetti le norme vigenti. I criteri di Maastricht valgono per tutti”.
Il fatto è che il sovranismo, degenerazione in chiave nazionalista della sovranità che ogni Stato legittimamente rivendica, non può non scontrarsi con gli interessi primari degli altri contraenti di una partnership internazionale, o anche di un’alleanza di governo nazionale. Al punto che anche la rissa con minacce di querela e di crisi inscenata a Roma mentre a Bruxelles Conte misurava l’isolamento del governo e sfogava la propria frustrazione, potrebbe essere nient’altro che un conflitto tra due sovranismi non componibili, quello della Lega e quello dei Cinque Stelle, impegnati allo spasimo per rivendicare ognuno per sé il controllo dell’esecutivo, piegando a proprio favore gli articoli del “contratto”. Da questa competizione affatto virtuosa, stava uscendo vincitore Matteo Salvini, mentre l’alleato Di Maio aveva dovuto ingoiare diversi bocconi amari, dal via libera al Tap, alla ripresa dell’attività industriale dell’Ilva di Taranto, ai lavori per l’alta velocità ferroviaria, alla riammissione della società Autostrade nel cantiere del ponte di Genova, per limitarci alle ultime retromarce, mal digerite dalla base pentastellata. Ora, alla vigilia dell’appuntamento di Roma al Circo Massimo, con Beppe Grillo e Giuseppe Conte, destinato a celebrare i successi del “suo” governo, Di Maio era alla ricerca di un gesto clamoroso per riverniciare la propria immagine appannata dai troppi compromessi accettati. Di qui l’impuntatura sul condono e la minaccia di rovesciare il tavolo.
Oggi Conte cercherà di incollare i cocci della maggioranza, e probabilmente ci riuscirà; ma subito dopo la competizione tra i due sovranismi di governo riprenderà vigore, perché è ovvio che se si può ridiscutere il condono si può ridiscutere anche il reddito di cittadinanza, mentre l’iter parlamentare della legge di bilancio, sotto lo sguardo per nulla amichevole dei partner filo e antieuropei, è ancora lungo.
di Guido Bossa edito dal Quotidiano del Sud