La sua voce risuonava sempre durante un convegno, un dibattito, un cineforum. Ed era facile riconoscerla. Non si stancava mai di chiedere, Franca Troisi voleva capire ed era nella sua curiosità, nel suo desiderio di stabilire sempre una relazione con l’altro, la sua forza. Con il suo inconfondibile basco, gesticolava come a voler abbracciare il mondo, chiedeva e raccontava la sua visione del reale anche attraverso quelle domande, esprimeva la sua opinione con fermezza e ti incantavi ad ascoltare quella donna appassionata che non era mai sazia di conoscenza, che continuava a combattere per gli ideali in cui credeva, tanto da sembrare il personaggio di un film. Una donna che credeva nel potere delle parole e dell’arte ma anche in quello delle mani di creare manufatti e gioielli, convinta della complementarietà di corpo e testa. Ed era quasi rassicurante incontrarla, che si trattasse della presentazione di un libro o di un film, sapere che ad Avellino c’erano persone come lei che non si sarebbero mai arrese ti aiutava a pensare con fiducia al futuro. Che fosse un’intellettuale, che avesse creduto e continuasse a credere nella forza delle battaglie femministe, nel coraggio delle donne di cambiare il mondo lo portava scritto nel suo modo di essere e di stare con gli altri, convinta che anche la capacità di stabilire relazioni fosse una scelta politica. Ma era anche donna capace di grande tenerezza e affetto, una madre pronta sempre ad abbracciare quei giovani che lei aveva cresciuto ed educato con il suo esempio, a suggerire, indicare la strada, incoraggiare, come a dirti “Lavoriamo insieme che siamo più forti”.
Quando parlava di progetti si illuminava e quella luce aveva contribuito a tenerla accesa in città, con quella creatura bellissima che è il Centrodonna, da cui era scaturita Visioni, anch’essa strumento politico, per gridare il proprio manifesto e la propria idea di mondo, parlare di libertà, confronto tra cultura, uguaglianza, a partire dallo sguardo verso realtà cinematografiche altre e insieme continuare a credere che l’Eliseo sarebbe tornato ad essere casa del cinema. Quella battaglia lei e Vittoria l’avevano combattuta a testa alta, convinta che la città avesse bisogno di questo luogo, che quello fosse il sogno di Camillo Marino, che fosse lo spazio che da tempo chiedevano le associazioni cinematografiche cittadine per conservare la loro vitalità. Una battaglia diventata simbolo della possibilità di costruire una città diversa in cui le decisioni non fossero imposte dall’alto ma scaturissero dalla partecipazione. Quella partecipazione in cui non ha mai smesso di credere