Di PAOLO SPERANZA
Mattmark: tragedia dell’emigrazione, titolò sessant’anni fa “Il Progresso irpino”, prestigioso periodico della sinistra in provincia di Avellino, in segno di solidarietà con le vittime di quella terribile giornata per i lavoratori italiani in Svizzera, che oggi è stata ricordata dal presidente Mattarella.
L’editoriale del giornale irpino, a firma di Pasquale Stiso, è senza dubbio il più vibrante, sotto il profilo stilistico e della tensione civile, fra gli scritti politici del poeta-sindaco di Andretta (1923-1968), riscoperti e pubblicati su iniziativa di chi scrive nei volumi Giustizia per la mia terra (Mephite) e La terra che amiamo (CinemaSud), con la prefazione di Teresa Stiso.
Dell’emigrazione Stiso aveva una conoscenza approfondita, avendo modo di occuparsene da diversi punti di osservazione: nella sua quotidiana attività di avvocato, di sindaco di Andretta, di dirigente politico e di pubblicista per “Il Progresso irpino”, che riportava con frequenza vicende e dibattiti sul tema. L’intervento di Stiso (che al dramma dell’emigrazione si era ispirato per lo straordinario racconto Questa è una storia vera, o forse no, da cui scaturì il soggetto del film La donnaccia) fu pubblicato sul numero del 15 settembre 1965, in prima pagina, accanto al reportage di Sergio Simeone – all’epoca giovane e valoroso corrispondente de “l’Unità” in Irpinia, poi futuro direttore di “La Voce della Campania”, “Il Tirreno” e altre testate nazionali – presso le famiglie dei due operai irpini deceduti nell’incidente.
Scrive Sandro Abruzzese, uno dei più validi e coraggiosi narratori italiani di oggi (il suo libro più recente è Meridionali si diventa, edizioni Rogas) ed estimatore della figura e dell’opera del poeta e politico irpino: “Stiso non dimentica i migranti e scrive di loro, dei morti di Mattmark, nel ’65, dopo quelli di Marcinelle. Scrive col consueto umanissimo sguardo: maledetta è soprattutto quella politica che costringe i nostri uomini, le nostre forze migliori a mendicare un po’ di lavoro all’estero in condizioni di esistenza paragonabili a quelle degli schiavi. Ebbene, le sue parole di protesta non sono mai scioviniste o stupidamente identitarie, ma figlie di una pietas universale, pervase da un profondo senso comune dell’umano. Il suo cordoglio non è retorico o opportunistico. La sua visione politica dei rapporti sociali è sempre universalistica, mai angusta né locale. Quanta distanza, verrebbe da dire, rispetto all’attuale incapacità italiana di immaginare un destino comune, che ha ridotto la stessa Penisola alla gretta somma di tante spinte disgregatrici, dai vecchi e tristi leghisti fino ai loro epigoni neo-borbonici”.
In tutti gli articoli di Stiso, soprattutto, emerge un’altra sua caratteristica peculiare, peraltro in linea con la migliore giovane intellighenzia del Pci e già evidenziata nel ricordo di Freda: l’ampio orizzonte culturale e politico, di respiro internazionale, che gli consente di coniugare l’analisi dei problemi locali con gli scenari socio-economici nazionali e, nel caso dell’emigrazione, globali. In questo senso la visione meridionalista del Pci di Togliatti assume una dimensione internazionalista, che tiene insieme le battaglie politiche e sindacali dei braccianti dell’Alta Irpinia e l’ansia di riscatto e di liberazione dalle catene dell’oppressione e della miseria degli “ultimi” di tutto il pianeta. Un’impostazione avanti anni-luce, sotto ogni aspetto (politico, etico, culturale), rispetto allo pseudomeridionalismo tardoborbonico oggi in voga.
Una ragione in più per ricordare Stiso nel triste anniversario della tragedia di Mattmark, riportando integralmente il suo intenso editoriale del 1965.
IL CANTIERE MALEDETTO
Due famiglie della nostra terra piangono ora, insieme alle numerose altre colpite dalla sciagura, disseminate in ogni parte d’Italia, i loro cari immaturamente scomparsi strappati dal bisogno alle loro case ed ai loro affetti.
Il senso di comprensione umana, il dolore che ci invade l’animo ci vieta di far prorompere il moto di indignazione che purtroppo sale spontaneo di fronte alla constatazione che cinquantacinque nostri connazionali hanno dovuto perdere la vita: costretti a prestare la propria opera in un paese straniero ed in condizioni di lavoro tanto pericolose da determinare tragedie di così vaste proporzioni.
E’ vero che la morte colpisce senza distinzioni di località, ma è pur vero che se questi nostri compatrioti avessero subìto una così triste sorte nella loro terra, svolgendo un lavoro da essi scelto, al dolore ed al rimpianto conseguenti alla scomparsa non si sarebbero aggiunti la disperazione dei congiunti, il rimorso ed il rancore di dover soggiacere ad una ingiustizia che dura da lunghi decenni.
È il triste retaggio che ancora ci grava sulle spalle quello dell’emigrazione, specialmente per noi meridionali. In ogni paese d’Europa o delle Americhe o altrove vi sono nostri lavoratori i quali, dovendo abbandonare, per sopperire alle necessità vitali, le contrade di origine, non solo rendono sempre più precarie le condizioni economiche esistenti, ma compromettono seriamente i loro rapporti affettivi e sociali.
Il grido doloroso che si leva da tutto il mondo del lavoro a seguito di così gravi sciagure non viene, purtroppo, nemmeno avvertito da chi ha responsabilità di Governo, una volta che si può constatare che il fenomeno emigratorio raggiunge livelli sempre più preoccupanti.
Di certo nemmeno il sacrificio di questa volta, il più impoonente dopo quello di Marcinelle nel Belgio, sarà di monito al nostro patrio governo: estraneo com’è ad una vera trasformazione democratica della nazione, esso commenterà il tragico accaduto con manifestazioni di rito e con piagnucolose parole; imputando alla fatalità la grave sciagura ed evitando finanche di rappresentarsi che altri lutti del genere possono nuovamente colpirci, se centinaia di migliaia di nostri emigrati lavorano in terre straniere privi di qualsiasi concreta misura di tutela.
La radio governativa parla oggi di Mattmark come del «cantiere maledetto». Dimentica però di dire che maledetti sono pure tutti gli altri cantieri fuori e dentro d’Italia dove i nostri operai lavorano a rischio della vita: che maledetta è soprattutto quella politica che costringe i nostri uomini, le nostre forze migliori a mendicare un po’ di lavoro all’estero in condizioni di esistenza paragonabili a quelle degli schiavi.
Noi, profondamente colpiti da un così doloroso evento, ispirati a quella umana solidarietà che lega gli uomini tra loro, dalle pagine di questo nostro giornale di lavoratori, nel mentre manifestiamo alle famiglie delle vittime il nostro più sentito cordoglio, non possiamo esimerci dal far sentire la nostra voce di protesta e di condanna verso una tale politica che, di tempo in tempo, pretende il suo olocausto di vite umane.
E siamo sicuri che la condanna espressa dal nostro giornale non resterà inascoltata dai lavoratori irpini tanto profondamente interessati al problema dell’emigrazione: si unisca la loro voce a quella di tutti gli altri lavoratori del meridione e della nazione intera, perché in un futuro non lontano nostri amici, nostri familiari, nostri congiunti non periscano più in terre lontane, sospinti dalla fame e dal bisogno.
È questo forse, oltre le lacrime ed il dolore, il modo più giusto di onorare i nostri conterranei caduti e con essi i loro compagni: tutti per le medesime ragioni abbandonarono le loro case ed i loro cari, che ormai non vedranno più, falciati da una morte tanto crudele che questa volta si chiama MATTMARK.