Il nuovo anno vede saldamente al governo le destre e, per la prima volta, una donna alla presidenza del Consiglio. La Meloni ha vinto legittimamente le elezioni anche non rappresentando la maggioranza nel Paese, grazie ad una pessima legge elettorale senza preferenze e, soprattutto, grazie all’insipienza politica di, Letta, Conte, Renzi e Calenda che si son fatta la guerra fra di loro invece di farla alle destre. Sono bastati solo due mesi perché la Meloni cambiasse idea su molte cose dette in campagna elettorale e negli anni della sua opposizione ai precedenti governi. Oggi si dice che il suo governo è in continuità con quello di Draghi dimenticando che è stata la sua unica e accanita oppositrice; si è detto che con lei al Governo per l’Europa la pacchia sarebbe finita, invece è cominciato il suo feeling. Sta facendo di tutto per accreditarsi come una moderata liberaleggiante e qualificare la sua come una destra moderna e conservatrice per tranquillizzare i poteri forti e contemporaneamente i suoi elettori e, nel contempo, sta cercando di mediare con Berlusconi e Salvini concedendo loro tutto il possibile. ma cercando, nello stesso tempo, di realizzare il suo programma che, in molti punti, non collima con quello della Lega e di Forza Italia destando il sospetto che la sua coalizione non sia, poi, tanto solida e che si regge solo per l’improntitudine dell’opposizione e la crisi del PD senza guida in attesa del congresso. Sulla finanziaria ha fatto, a furia di strappi e contro strappi, errori evidenti ed iniquità, corretti, in corso d’opera solo in parte, dai suggerimenti dell’Europa, della Corte dei conti e di altri organismi mettendo i conti a posto, innalzando. Però, ulteriormente il debito pubblico e riservando i due terzi delle risorse a fronteggiare l’aumento delle bollette e pochi spiccioli come acconto alle categorie di riferimento, rispolverando i vecchi cavalli di battaglia come la riduzione del reddito di cittadinanza (non più agli “occupabili”) e all’immigrazione con una stretta sulle navi ONG, la minacciata chiusura dei porti e l’impellente richiesta alla Comunità Europea ( e la lite con Macron) di far proprio il problema dell’immigrazione sulle direttive italiane. Il 2023 sarà l’anno della svolta, assicurano quelli della maggioranza. Staremo a vedere! E’ soprattutto staremo a vedere dove prenderanno i soldi, che servono per le riforme non più procrastinabili. Nella finanziaria molti segnali vanno nel senso che non si perseguiranno, s non con le solite promesse da marinaio gli evasori fiscali; che si favorirà il lavoro nero; che non si aumenteranno i diritti dei lavoratori e che le disparità sociali aumenteranno. Il 2023 sarà il banco di prova della Meloni e Salvini la sua incognita. Berlusconi continuerà a parlare ma starà buono fino a quando non gli toccheranno le sue aziende. Per i suoi processi ci sono Nordio e Sisto. Non così Salvini che è in cerca di visibilità e di riconquistare pare dei voti sottratti alla Lega da Fratelli d’Italia. In più nei “Fratelli d’Italia” mancano cervelli pensanti e la classe dirigente è approssimativa e impreparata e molti, a cominciare dal Presidente del Senato inguaribili nostalgici del passato la cui fiamma tricolore figura ancora nel simbolo. Ce la farà? Il 2023 sarà l’anno della verità.
di Nino Lanzetta