DI MINO MASTROMARINO.
“Farò propaganda affinché la gente se ne stia a casa”. L’idiosincratico annuncio del Presidente del Senato a favore della diserzione referendaria ha suscitato un comprensibile scalpore. Speriamo, non per la sua novità o (soltanto) per la qualificata provenienza. Qualche giorno prima, il Ministro degli Esteri aveva rivolto il medesimo invito. D’obbligo è l’antecedente di Bettino Craxi che, nel 1991, invitò gli Italiani ad andare al mare, piuttosto che votare al referendum contro la preferenza plurima. La ricusazione dell’espressione referendaria, come strumento di contesa politica, è contraria ai basilari principi della liberaldemocrazia e, soprattutto, ai residuali baluardi di democrazia diretta da questa accolti. Senza contare la solenne definizione del voto quale esercizio di un dovere civico (art.48 Cost.). Si tratta di una pratica contraddittoriamente elusiva della tanto reclamata sovranità popolare. E’ preoccupante – per la tenuta del tessuto sociale – che la dialettica prereferendaria sia monopolizzata dal dilemma voto/non voto, a esecrabile emarginazione del merito dei quesiti. Insomma, l’involuzione del dibattito è tale che le forze politiche (di maggioranza e/o di opposizione ), non proponenti o che si ritengano danneggiate dall’eventuale abrogazione, sono innaturalmente spinte a denegare il proprio doveroso coinvolgimento circa l’oggetto della consultazione elettorale ( che conserva pur sempre un rilevante interesse politico ). Nemmeno va strumentalizzato in tal senso l’indecifrabile e intollerabile linguaggio adottato nella formulazione dell’interrogativo referendario. Non è certo colpa del referendum o dei suoi promotori se, più che una norma di legge, la proposta cancellazione legislativa sia diretta contro un labirinto di irriducibili rimandi, un rompicapo normativo insolubile.