Va incoraggiata la decisione del ministro Valditara di vietare i cellulari (anche) nelle scuole superiori, perchè « dobbiamo aiutare gli studenti a disintossicarsi». L’espressione si limita a prendere atto delle evidenze scientifiche. Ovviamente, c’è subito chi insorge in nome dell’ineluttabilità del progresso.
L’uso consapevole del digitale dovrebbe diventare la principale materia scolastica. La didattica dovrebbe guardare avanti, imparare le poesie a memoria non risolve il problema e il mutamento tecnologico non va castigato quando c’è una nuova grammatica da studiare. Non si vieta ciò che va compreso (così Aldo Grasso, critico televisivo).
La conclusione del ragionamento è fallace almeno quanto le sue premesse. Innanzitutto, smartphone, digitale e intelligenza artificiale non sono equiparabili. Bandire l’utilizzo del primo durante l’orario scolastico non implica la rinuncia pregiudiziale alla trattazione formativa degli altri due. L’inibizione del cellulare elimina ostacoli e interferenze con l’attività didattica e di apprendimento.
Le anime belle dovrebbero spiegarci a cosa e a chi – docente o discente – serve il telefonino nel corso della lezione. A nessuno, infatti. Men che inutile, quindi insensata, è l’idea di istruire i ragazzi sull’uso cosciente dello smartphone e delle relative potenzialità ( rectius, applicazioni), in quanto – come è noto – la consapevolezza e la capacità di fruizione dei dispositivi tecnologici diminuiscono con l’aumento dell’età. Con buona pace degli integrati, la precipua finalità di attrezzare i bambini e gli adolescenti contro i pericoli (solo umani) del cellulare, del digitale e dell’IA si persegue paradossalmente con l’imparare i versi a memoria e con lo studiare la grammatica della propria lingua. Un divieto salutare. Una volta tanto.