Paolo Saggese
Da ormai sei anni testimoniamo, documenti alla mano, la pericolosità delle disposizioni sull’autonomia differenziata, che da alcuni mesi è divenuta realtà (Legge 86/2024). Adesso è direttamente la Corte costituzionale, con sentenza del 14 novembre, a mettere nero su bianco i caratteri non di incostituzionalità complessiva della norma fortemente voluta dalla Lega e sostenuta e/o subita dagli altri partiti di Governo, ma le tante criticità, che la rendono al momento incompatibile con i dettami costituzionali.
Innanzitutto, nel Comunicato stampa della Corte si chiarisce che “è il principio costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e regioni. In questo quadro, l’autonomia differenziata deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini”.
Dunque, il principio cardine della sussidiarietà, dell’efficienza degli apparati pubblici e la risposta alle attese e ai bisogni dei cittadini sono prioritari e non possono essere violati.
Sulla base di questi principi generali, la Corte ha ravvisato “l’incostituzionalità dei seguenti profili della legge: – la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie, laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del richiamato principio di sussidiarietà; – il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (LEP) priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento; – la previsione che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (dPCm) a determinare l’aggiornamento dei LEP; – il ricorso alla procedura prevista dalla legge n. 197 del 2022 (legge di bilancio per il 2023) per la determinazione dei LEP con dPCm, sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla stessa legge per definire i LEP; – la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito; in base a tale previsione, potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti, che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite – non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni; – la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica; – l’estensione della legge n. 86 del 2024, e dunque dell’art. 116, terzo comma, Cost. alle regioni a statuto speciale, che invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali”.
In sintesi, il principio della sussidiarietà, la definizione chiara dei LEP, “priva di idonei criteri direttivi”, esclusivamente attribuita al Governo e non al Parlamento, il principio della solidarietà (non facoltativa, ma doverosa), il principio dell’unità della Repubblica, il dover devolvere, secondo la Corte, “non materie o ambiti di materie”, ma “specifiche funzioni legislative e amministrative” sono violati dalla Legge 86 del 2024 e mettono a rischio la stessa sopravvivenza non solo sostanziale, ma formale, della Nazione. Inoltre, l’autonomia differenziata non può essere attuata per le Regioni a statuto speciale.
Più chiara di così la Corte costituzionale non poteva essere.
Inoltre, i rilievi riportati successivamente dimostrano una sostanziale inapplicabilità della norma, relativamente ai “diritti civili e sociali”, relativamente ai criteri della “spesa storica”, nonché deve essere vincolata al quadro generale della finanza pubblica, agli andamenti del ciclo economico e al rispetto degli “obblighi eurocomunitari”:
“- la limitazione della necessità di predeterminare i LEP ad alcune materie (distinzione tra “materie LEP” e “materie-no LEP”) va intesa nel senso che, se il legislatore qualifica una materia come “no-LEP”, i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali; – l’individuazione, tramite compartecipazioni al gettito di tributi erariali, delle risorse destinate alle funzioni trasferite dovrà avvenire non sulla base della spesa storica, bensì prendendo a riferimento costi e fabbisogni standard e criteri di efficienza, liberando risorse da mantenere in capo allo Stato per la copertura delle spese che, nonostante la devoluzione, restano comunque a carico dello stesso; – la clausola di invarianza finanziaria richiede – oltre a quanto precisato al punto precedente – che, al momento della conclusione dell’intesa e dell’individuazione delle relative risorse, si tenga conto del quadro generale della finanza pubblica, degli andamenti del ciclo economico, del rispetto degli obblighi euro unitari”.
Si tratta, insomma, di una sonora bocciatura chiara non solo della volontà politica, che ha ispirato la norma, ma anche di coloro, che, chiamati dal Governo, ne hanno concepito il testo, che anche ad un profano come chi scrive risultava essere viziato da più di un vulnus normativo.
Se ne deduce che:
- La Legge così com’è non può essere applicata e non è applicabile, per i vulnus costituzionali, anche a causa – non poca cosa – dell’insostenibilità economica della stessa;
- Il Parlamento deve intervenire e modificare il testo sulla base della Sentenza della Corte Costituzionale;
- Finché la Legge non sarà modificata, il Referendum dovrebbe essere ammissibile;
- A quel punto la parola spetterà ai cittadini, che si dovrebbero pronunciare soltanto sulla norma generale e non sugli aspetti particolari della Legge 86.
Aveva, dunque, ragione Vincenzo De Luca, avevano ragione gli altri Presidenti delle Regioni, che hanno avanzato il ricorso di incostituzionalità.
Ma non si deve credere che questa sia la vittoria definitiva. Siamo solo all’inizio, occorre vigilare, stare attenti, in guardia. Sono in bilico gli interessi nazionali e di ognuno di noi, cittadini del Nord, del Centro, del Sud, delle Isole. È in gioco il destino dell’Italia.
Tutti dobbiamo gioire in questo giorno, 14 novembre 2024: la Nazione rinasce. Ma dobbiamo volerlo tutti.