Che cosa significa lavorare in Egitto se sei una donna? È da questa domanda che muove Egyptian Made -Donne, lavoro e una promessa di liberazione (Marietti 1820, 2025), il nuovo libro di Leslie T. Chang, già nota per Factory Girls. Con uno sguardo analitico e al tempo stesso umano, l’autrice guida attraverso la vita di tre donne che cercano di costruire il proprio destino in un Paese dove le trasformazioni economiche e la modernità industriale non sempre coincidono con la libertà promessa.
Riham è un’ingegnera che tenta la via dell’imprenditoria in un ambiente che fatica a riconoscere autorevolezza alle donne. Rania, operaia in una fabbrica di biancheria maschile, scopre che la separazione dal marito, pur dolorosa, le apre un inaspettato spazio di autonomia: lavora senza chiedere permesso, si impone per capacità e determinazione, e in poco tempo diventa capolinea, tra ammirazione e maldicenze. Doaa, guardia di sicurezza, riesce a divorziare ma perde la custodia delle figlie, pagando sulla propria pelle il prezzo di ogni conquista.
Attraverso le loro vite, Chang esplora come le donne affrontino le sfide del lavoro in Egitto, dove valori tradizionali, pressioni familiari e difficoltà strutturali ostacolano la loro realizzazione personale e professionale. Attraverso le loro voci, Chang mette a fuoco un Egitto complesso: un Paese dove le donne devono spesso chiedere il permesso a un padre o a un marito per lavorare, dove il sogno di indipendenza si scontra con la rigidità della tradizione e con le contraddizioni della globalizzazione.
Il reportage alterna scene intime a momenti di storia recente e costruisce un mosaico fatto di scelte difficili, piccoli passi avanti e grandi ostacoli. Il merito dell’autrice è quello di non cadere nel sensazionalismo: ci racconta vite quotidiane, piene di dignità, ambizione e compromessi. Chang combina reportage investigativo e immersivo con una narrazione che restituisce scene quotidiane ricche di sensibilità umana. Il suo sguardo è attento ai gesti, alle relazioni, alle dinamiche sul posto di lavoro e i legami familiari
Queste tre storie, così diverse tra loro, tracciano un filo comune: quello di un Paese in cui il lavoro femminile resta spesso subordinato al consenso maschile, dove i sogni di indipendenza si infrangono contro la rigidità delle strutture familiari e la lentezza del cambiamento sociale. Chang intreccia i percorsi individuali con la storia più ampia dell’Egitto: dalla colonizzazione alle riforme economiche, fino alle speranze e alle delusioni della Primavera Araba. Racconta come la globalizzazione abbia avuto un impatto distorto e più spesso consolidato disuguaglianze che aperto orizzonti, accentuando la repressione delle donne anziché emanciparle.
Il merito di questo reportage narrativo di non-fiction sta nel tono: mai sensazionalistico, mai pietista. Chang racconta fabbriche dal rumore incessante, riunioni cariche di tensione, notti di turni interminabili, ma lo fa senza compiacimento, restituendo alle protagoniste dignità e complessità. La sua scrittura è ricca di dettagli, densa quanto basta per far sentire l’odore acre dei tessuti e la stanchezza sulle mani, ma abbastanza limpida da non allontanare il lettore. Non offre risposte facili, piuttosto invita a domandarsi cosa significhi davvero emancipazione in un luogo dove le regole non cambiano, e quale sia il costo di ogni piccola libertà conquistata.
Egyptian Made è, in fondo, il ritratto di una promessa mancata. Non denuncia a gran voce, ma testimonia con lucidità. Racconta la vita di donne che lavorano molto e sognano tanto, ma restano intrappolate tra vecchie catene e nuove illusioni. Consigliato a chi ama reportage che sanno unire storie personali e analisi sociale, a chi è interessato al tema della condizione femminile nel mondo arabo, e a chi non ha paura di confrontarsi con domande scomode. È un libro prezioso per chi vuole comprendere la condizione femminile nel mondo arabo senza stereotipi e per chi sa che l’emancipazione non è mai un concetto universale, ma una conquista che va misurata sul terreno della realtà.
Anna Bembo