Di Rosa Bianco
La storia, con la sua complessità e le sue ombre, ci costringe spesso a confrontarci con pagine dolorose che sfidano la nostra capacità di comprendere e di elaborare il passato. Tra queste, le foibe rappresentano una delle ferite più profonde e controverse della storia italiana e balcanica del Novecento. Un dramma che si intreccia con il crollo di imperi, il risveglio dei nazionalismi, l’odio etnico e la brutalità delle guerre mondiali, lasciando dietro di sé non solo migliaia di vittime, ma anche un’eredità di silenzi, rimozioni e strumentalizzazioni.
Cosa sono le Foibe?
Il termine “foiba” deriva dal latino fovea, che significa “fossa” o “cavità”. In geologia indica profondi inghiottitoi carsici tipici della regione del Carso, tra l’Italia nord-orientale e la Slovenia. Tuttavia, nella memoria collettiva italiana, la parola evoca le tragedie legate agli eccidi avvenuti tra il 1943 e il 1947, quando migliaia di persone – prevalentemente italiani, ma anche sloveni, croati e altri – furono uccise e gettate in queste cavità naturali, vittime di violenze politiche, etniche e ideologiche.
Un contesto storico complesso
Per comprendere le foibe non si può prescindere dal contesto storico che le ha generate. Il confine orientale italiano è stato per secoli un crocevia di popoli, lingue e culture: italiani, sloveni, croati, austriaci. Dopo la Prima guerra mondiale, con il crollo dell’Impero austro-ungarico e l’annessione di vaste aree all’Italia, il regime fascista attuò una politica di snazionalizzazione forzata nei confronti delle popolazioni slave, alimentando rancori e tensioni che sarebbero esplosi con violenza durante e dopo la Seconda guerra mondiale.
Le prime ondate di violenze si verificarono nel 1943, dopo l’armistizio dell’8 settembre e il conseguente collasso dello Stato italiano. In Istria e Dalmazia, i partigiani jugoslavi di Tito presero il controllo di molte aree, scatenando rappresaglie contro funzionari fascisti, militari, collaborazionisti e civili italiani. Ma fu nel 1945, con la fine della guerra e l’avanzata jugoslava, che gli eccidi raggiunsero la loro massima brutalità. La pulizia etnica e la repressione politica si intrecciarono, in un’operazione volta a eliminare l’influenza italiana e consolidare il dominio jugoslavo sui territori contesi.
Vittime e responsabilità
Stimare il numero esatto delle vittime delle foibe è difficile e oggetto di dibattito tra gli storici. Le stime variano da alcune migliaia a oltre diecimila persone. Non si trattò solo di una questione di nazionalità: tra le vittime vi furono antifascisti, comunisti dissidenti, sloveni e croati considerati traditori o oppositori del nuovo regime.
È importante sottolineare che le foibe non furono un “genocidio” nel senso stretto del termine, ma piuttosto una combinazione di vendette post-belliche, repressione politica e pulizia etnica. Tuttavia, ridurre tutto a una “rappresaglia” contro il fascismo sarebbe un’ingiustizia verso le vittime e una semplificazione inaccettabile. Le violenze colpirono indiscriminatamente uomini, donne e persino bambini, in un clima di odio e terrore alimentato dalla lunga stagione dei nazionalismi e delle guerre.
Il silenzio e la memoria
Per decenni, la tragedia delle foibe e l’esodo forzato di oltre 250.000 italiani dall’Istria, dalla Dalmazia e dalla Venezia Giulia rimasero avvolti da un colpevole silenzio. La Guerra Fredda, con l’Italia alleata dell’Occidente e la Jugoslavia di Tito vista come un baluardo contro l’espansionismo sovietico, contribuì a relegare questa vicenda ai margini della memoria ufficiale. Parlare delle foibe significava toccare nervi scoperti, sia per la destra che per la sinistra, per ragioni ideologiche e geopolitiche.
Solo negli anni ’90, con la dissoluzione della Jugoslavia e il riemergere di nuove tensioni nei Balcani, la questione tornò alla ribalta. Nel 2004, il Parlamento italiano ha istituito il Giorno del Ricordo, che si celebra il 10 febbraio, per commemorare le vittime delle foibe e l’esodo giuliano-dalmata. Un passo importante verso il riconoscimento di una tragedia troppo a lungo ignorata.
Tra storia e memoria: una sfida per il presente
Ricordare le foibe non significa riscrivere la storia in chiave vittimista o nazionalista. Al contrario, significa affrontare la complessità del passato con onestà intellettuale, riconoscendo le responsabilità di tutti gli attori coinvolti. È un esercizio di memoria critica che dovrebbe unire, non dividere.
Tuttavia, il rischio della strumentalizzazione politica è sempre presente. In Italia e nei Balcani, la memoria delle foibe è spesso utilizzata per alimentare rancori nazionalistici o per giustificare revisionismi storici che minimizzano le responsabilità del fascismo e del colonialismo italiano nei Balcani. La verità storica non può essere piegata a interessi ideologici: le vittime meritano rispetto, non propaganda.
Le foibe ci ricordano quanto sia fragile il confine tra civiltà e barbarie, tra giustizia e vendetta. Sono un monito contro l’odio etnico, l’intolleranza e il fanatismo ideologico. Ma sono anche una lezione sul valore della memoria e sulla necessità di confrontarsi con il passato, per costruire un futuro in cui la diversità non sia motivo di conflitto, ma di arricchimento reciproco.
Il Giorno del Ricordo non deve essere solo un rito istituzionale, ma un’occasione per riflettere sulla storia nella sua interezza. Solo così potremo rendere giustizia alle vittime e onorare la verità, senza paura di guardare in faccia le ombre del nostro passato.