di Stefano Carluccio
In una Irpinia frammentata in oltre cento comuni, molti dei quali contano meno di 2.000 abitanti, la questione delle fusioni amministrative è tornata al centro del dibattito politico e sociale. Spinta da esigenze economiche, gestionali e demografiche, la proposta di unire più municipalità suscita entusiasmi e timori. Ma è davvero una strada percorribile per il rilancio del territorio o rischia di cancellare storie, tradizioni e identità locali?
La provincia di Avellino si caratterizza per una rete di piccoli centri spesso molto vicini tra loro, ma con storie e culture profondamente distinte. Proprio questa forte identità locale rappresenta, per molti, un ostacolo alla fusione. Tuttavia, questa identità deve oggi confrontarsi con una realtà fatta di bilanci comunali ridotti al minimo, uffici svuotati e servizi essenziali sempre più difficili da garantire.
I sostenitori delle fusioni mettono in evidenza una serie di vantaggi concreti: maggiori trasferimenti statali, razionalizzazione della spesa pubblica, possibilità di accedere più facilmente a fondi europei, gestione condivisa dei servizi come la raccolta dei rifiuti, il trasporto pubblico o le iniziative culturali. Si parla anche di una maggiore capacità progettuale e amministrativa, necessaria per affrontare sfide sempre più complesse. E non mancano esempi positivi, anche in Campania, dove comuni che hanno optato per l’integrazione amministrativa sono riusciti a migliorare l’efficienza e la qualità dei servizi.
Dall’altra parte, rimangono forti le preoccupazioni per una possibile perdita culturale e simbolica. Le fusioni non sono semplici atti burocratici: comportano l’unione di storie, la ridefinizione di confini identitari, l’adozione di nuovi nomi e l’abbandono di stemmi storici. In Irpinia, dove ogni festa patronale è vissuta come un tratto distintivo della comunità, questi cambiamenti non sono mai neutri. Inoltre, esiste il timore concreto che i centri più piccoli diventino “frazioni dimenticate” all’interno di un comune più grande, con meno rappresentanza e voce decisionale.
Dove le fusioni hanno funzionato, ciò è avvenuto soprattutto grazie al coinvolgimento diretto dei cittadini. La partecipazione attiva, attraverso assemblee pubbliche, referendum informati e patti territoriali chiari, ha permesso in alcuni casi di rinnovare il senso di appartenenza invece di dissolverlo. Al contrario, dove le decisioni sono state percepite come imposte dall’alto, si sono generate tensioni, resistenze e, talvolta, fallimenti.
Oggi più che mai, i comuni devono affrontare sfide globali con risorse locali sempre più limitate. Le fusioni possono rappresentare una risposta strategica, ma nei territori come l’Irpinia non possono prescindere dal rispetto per le identità locali. L’identità, qui, è una risorsa, non un ostacolo. La vera sfida è costruire un nuovo senso di comunità che non sia soltanto la somma di campanili, ma un progetto condiviso per il futuro.
Forse, allora, il punto non è “fondersi o non fondersi”, ma come farlo. In Irpinia, le fusioni potrebbero diventare un modello virtuoso solo se accompagnate da un processo trasparente, partecipato e inclusivo. L’identità e l’innovazione non sono per forza incompatibili: possono convivere, se si ha il coraggio di guardare avanti con rispetto e visione.