C’è una coalizione che vince ininterrottamente ogni elezione regionale da un anno e un’altra che governa a Roma tra molte difficoltà. E’ questa una delle singolarità della politica italiana. La Basilicata è solo l’ultima regione in ordine cronologico conquistata dal centrodestra. Una serie di successi (Trentino-Alto Adige, Friuli, Molise, Abruzzo, Sardegna, Basilicata) che adesso consegna alla coalizione sempre più nelle mani di Salvini il governo di dieci regioni del nostro paese. Il centrosinistra si conferma, come è accaduto nelle ultime tornate elettorali, la seconda forza. Polemicamente i renziani, dimenticati i buoni propositi, sostengono che c’è poco da esultare quando si arriva secondi, non si può essere insomma felici e perdenti. Contemporaneamente continua la perdita di consensi del Movimento Cinque Stelle. Indubbiamente il sistema elettorale con preferenze e più liste non è congeniale ai grillini che restano un movimento di opinione e non riescono a radicare il proprio consenso sul territorio dove continuano a presentarsi da soli senza il sostegno di forze civiche. Cinque Stelle inoltre travolti dal ciclone giudiziario romano. Hanno perso la verginità e la purezza delle origini e ormai sono diventati e percepiti come tutti gli altri partiti. Lo scandalo che è nato dal progetto del nuovo stadio della Roma non investe solo la giunta Raggi ma allunga la sua ombra sull’intero movimento indebolendolo pesantemente. La sconfitta in Basilicata e l’inchiesta nella capitale sono le ultime crepe per il movimento. L’obiettivo immediato è evitare un tonfo elettorale alle prossime europee ma l’orizzonte non appare roseo. Il governo è costantemente minato da litigi e divisioni. La situazione economica non aiuta e la prossima legge di bilancio è vissuta come un incubo. Ma questo è il futuro, il problema è soprattutto il presente. Lega e Cinque Stelle che troppo spesso si affidano al contratto di governo sono divisi su troppe questioni. Dalla Cina, alla Tav, alla famiglia, alla flat tax, all’Alitalia, alla legittima difesa, al decreto sblocca cantieri. Queste differenze che sono sostanza e non forma producono un conflitto permanente in attesa della battaglia finale che si giocherà il prossimo 26 maggio con il voto europeo. Questi due mesi dunque serviranno a Salvini e Di Maio per catturare il consenso dell’elettorato e non per governare. La Lega non è più solo una forza del Nord, il 19 per cento ottenuto in Basilicata è solo l’ultimo esempio di un partito che è diventato nazionale. In un anno la formazione di Matteo Salvini ha quasi triplicato i voti nel Sud. Al contrario i Cinque Stelle che lo scorso 4 marzo hanno fatto il pieno nelle regioni del Mezzogiorno perdono voti e sono oggi insidiati dall’alleato di governo. In Basilicata per esempio la Lega dal 4 marzo aumenta di oltre 35mila voti, i grillini ne perdono 80mila. E allora la ricerca del consenso fine a se stesso diventa per Di Maio l’unica ricetta possibile per arginare l’onda lunga del Salvinismo. In questa corsa tra alleati sono saltate le tradizionali mediazioni della politica, della condivisione e della responsabilità. Categorie sostituite abilmente dall’uso della propaganda. Ezio Mauro ricorda che “abbiamo avuto molti governi mediocri e alcuni pessimi. Ma non abbiamo mai visto la funzione dell’esecutivo così svuotata e delegata ai partiti di maggioranza, che la surrogano deformandola, perché riempiono ogni spazio non con la politica ma con un suo sottoprodotto casuale, isterico ed estemporaneo: una corsa ad inseguimento di annunci e veti reciproci, col famoso contratto che viene richiamato per diritto e per rovescio a sanare le divergenze che Lega e Cinque Stelle non riescono a comporre da soli. Col notaio che prende così il posto della cuoca di Lenin alla guida del governo”.
di Andrea Covotta