di Rosa Bianco e Fiore Carullo
La storia della percezione della follia nella società è stata lunga e complessa, influenzata da credenze religiose, concezioni filosofiche e sviluppi scientifici nel corso dei secoli. L’idea della follia come manifestazione di possessione demoniaca nel Medioevo, che portava alla condanna e all’isolamento dei “folli”, è stata gradualmente sostituita da una comprensione più scientifica e umanitaria della malattia mentale.
Il contributo di figure come Ippocrate, che a suo tempo considerò la follia come una malattia organica, segnò un cambio nell’approccio della società verso i disturbi mentali. Nonostante ciò, le persone affette da tali disturbi sono rimaste emarginate e stigmatizzate per lungo tempo, prive dei loro diritti civili e politici e spesso condannate alla segregazione nei manicomi. A fine Ottocento nacquero i primi manicomi, ma è la legge 36 del 14 febbraio 1904 a stabilire che “Debbono essere custodite e curate nei manicomi le persone affette per qualunque causa da alienazione mentale, quando siano pericolose a sé o agli altri e riescano di pubblico scandalo.”
Alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso negli 86 manicomi italiani erano internate circa 100.000 persone. Una volta dentro perdevano i diritti civili e politici.
Nel corso del Novecento, la promulgazione della legge 180, nota come Legge Basaglia, il 13 maggio 1978, segnò un punto di svolta nella storia italiana. Questa legge rappresentò un movimento di riforma psichiatrica guidato da Franco Basaglia, eliminando i manicomi e introducendo un nuovo approccio alla salute mentale basato su trattamenti umanitari e rispettosi della dignità umana.
Prima di addentrarci nei dettagli della legge 180 e nel suo impatto rivoluzionario, è fondamentale ricordare le radici culturali e gli sforzi pionieristici che hanno preparato il terreno per questa trasformazione. Persone come Franco Basaglia, Carlo Manuali, e Sergio Piro, tra gli altri, hanno lanciato un movimento di cambiamento negli anni ’60, mettendo in discussione i dogmi tradizionali della psichiatria e promuovendo un’idea radicale: trattare il paziente, anziché la malattia, riportando l’umanità al centro della cura.
Franco Basaglia, giunto nel manicomio di Gorizia nel 1961, si trovò di fronte a una realtà crudele e disumana, dove le persone erano ridotte a mere ombre di sé stesse, imprigionate da contenzioni e violenza istituzionale. Fu questa visione spaventosa che lo spinse a interrogarsi profondamente sul significato della psichiatria e a rompere con il vecchio modello manicomiale. La sua ribellione alla concezione tradizionale della malattia mentale ha aperto la strada a una nuova era di trattamenti basati sulla dignità e il rispetto del paziente.
L’approvazione della legge 180 non fu un evento isolato, ma il culmine di un movimento di cambiamento culturale e legislativo che si stava lentamente formando in Italia. Già nel 1968, la legge 431 aveva segnato un primo passo verso il superamento del modello manicomiale, riaffermando il principio della volontarietà nei trattamenti e garantendo ai pazienti il diritto di scegliere il proprio percorso di cura.
Ma è con la legge 180 che il cambiamento si è fatto davvero tangibile. Questa legge ha condannato senza appello il vecchio modello manicomiale e ha posto la dignità e i diritti dei pazienti al centro della cura. Ha introdotto il principio della volontarietà come regola, garantendo ai pazienti il diritto di partecipare attivamente al proprio percorso di cura e di scegliere il proprio medico e luogo di cura.
Inoltre, la legge 180 ha previsto la chiusura progressiva degli ospedali psichiatrici e l’apertura di una rete di centri e servizi di assistenza distribuiti su tutto il territorio nazionale. Questo approccio decentralizzato ha favorito un maggiore coinvolgimento della comunità nella cura dei pazienti e ha contribuito a ridurre lo stigma sociale nei confronti della malattia mentale.
Oggi possiamo guardare con orgoglio ai progressi compiuti nel campo della salute mentale in Italia. Le persone affette da disturbi mentali non sono più viste come dei pericolosi da isolare, ma come individui. Associazioni di pazienti e familiari lavorano fianco a fianco per promuovere la consapevolezza e combattere lo stigma sociale, mentre la cooperazione offre nuove opportunità di integrazione e reinserimento nella società.
A 45 anni dalla storica approvazione della legge Basaglia, che segnò un fondamentale punto di svolta nella storia italiana, ci troviamo a riflettere sulle sfide ancora presenti nel campo della salute mentale nel nostro Paese. Sebbene la legge Basaglia abbia rappresentato un atto rivoluzionario nel superare i vecchi dogmi e nell’instaurare un nuovo approccio alla cura delle malattie mentali, resta ancora molto da fare per garantire una piena attuazione della riforma e una reale tutela dei diritti dei pazienti.
Il ddl “Disposizioni in materia di Salute mentale”, depositato in Senato da Nerina Dirindin nel settembre del 2017, che vide tra i primi firmatari Luigi Manconi, Sergio Zavoli e altri, nella successiva legislazione fu depositato alla Camera da Elena Carnevali e al Senato da Laura Boldrini. Il ddl riproposto alla Camera da Debora Serracchiani e al Senato da Filippo Sensi, lo scorso anno in Parlamento, rappresenta un importante passo avanti verso questo obiettivo. Tuttavia, è fondamentale interrogarsi sulle ragioni per cui le proposte legislative in materia di salute mentale continuano a incontrare ostacoli e resistenze nell’iter legislativo.
Nonostante i progressi compiuti grazie alla legge Basaglia, persistono ancora disuguaglianze nell’accesso ai servizi di salute mentale e pratiche segreganti che minano i diritti dei pazienti.
È necessario che il nuovo ddl ponga al centro della sua attenzione la promozione della salute mentale e la garanzia di un’assistenza equa e di qualità per tutti i cittadini. Questo significa investire in nuovi modelli di cura basati sull’empowerment dei pazienti e sull’integrazione sociale, nonché sulla prevenzione e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica.
Inoltre, è importante riconoscere il ruolo fondamentale delle famiglie e delle associazioni di pazienti nel processo di cura e riabilitazione, garantendo loro un adeguato sostegno e riconoscimento da parte delle istituzioni.
L’adozione di politiche innovative e l’implementazione di buone pratiche sono fondamentali per affrontare le sfide attuali nel campo della salute mentale. È necessario che il nuovo ddl fornisca una risposta concreta e duratura a queste sfide, garantendo una migliore qualità di vita per le persone con disturbi mentali e una maggiore inclusione sociale per tutti i cittadini.
In conclusione, a 45 anni dalla legge Basaglia, è tempo di rinnovare l’impegno per garantire una piena attuazione dei principi di dignità, libertà e uguaglianza sanciti dalla Costituzione italiana anche nel campo della salute mentale. Solo attraverso un impegno collettivo e una visione progressista possiamo costruire un futuro migliore per tutti.
Rosa Bianco e Fiore Carullo