“Andate a cinema. Guardate tanti film ma soprattutto guardateli in una sala cinematografica. Vedere un film al cinema non è come vederlo a casa. La visione del film in sala è un rito collettivo che richiede maggiore coinvolgimento e attenzione. Tutte, le pellicole che ho visto al cinema si sono impresse con forza nella memoria”. Lo sottolinea il critico Paolo Mereghetti, ospite all’Eliseo dello Zia Lidia Social Club, nel corso di una preziosa masterclass, intervistato da Michela Mancusi e Roberto Gaita. Una masterclass conclusasi al Partenio con la visione de “La stanza accanto” di Almodovar. Mereghetti si rivolge ai giovani presenti in sala e raccomanda loro di “recuperare anche pellicole che appartengono alla storia del cinema”. “Continuo a pensare – spiega – che il cinema continui ad essere una finestra aperta sul mondo, poichè aiuta a guardarsi intorno, a non rimanere chiusi nella propria cuccia. Ha questa funzione da sempre, una funzione che si carica di un valore più forte nelle città che hanno sofferto di una certa emarginazione culturale. Le sale cinematografiche sono un potente spazio di aggregazione, lì dove hanno chiuso, i territori hanno perso la vitalità culturale che avevano. Vale per le piccole e grandi città. Per fortuna, ci sono associazioni come lo Zia Lidia che offrono stimoli e opportunità di confronto”.
Ai ragazzi che chiedono da dove partire per avvicinarsi al grande cinema, risponde citando “Cantando sotto la pioggia”, “che ho visto in una sala Parigi, quando ero giovane, mi regalavo sempre una settimana in quella che era la capitale del cinema. Ricordo il piacere della visione. Al termine della pellicola avrei abbracciato tutti”. O ancora “Casablanca”, “Un americano a Roma”. Ma anche “La corazzata Potemkin” e “Il secondo tragico Fantozzi” per poi arrivare alla “Dolce Vita”. Confessa come “quando mi sono avvicinato al cinema negli anni ’60 esistevano il cinema hollywoodiano, la commedia all’italiana e la nouvelle vague, Quel modo di fare cinema mi è rimasto dentro”. Anche se ammette di aver un debole per un film commedia come “Notting Hill” e cita a memoria le battute dell’ultima scena. Spiega come “Non vado a cinema per scoprire quello che so già ma per vedere rovesciate le mie certezze”. A chi gli chiede perchè non si girino più capolavori risponde che “Siamo così bombardati da informazioni sulle piattaforme, che facciamo fatica ad orientarci, dobbiamo imparare a scegliere e andare al di là dei consigli dei social, ad annusare col nostro naso”. Spiega come “il cinema italiano abbia tante potenzialità che non è sempre capace di sfruttare, ci troviamo spesso di fronte a polemiche pretestuose su costi e presenze. Fino agli anni ’60 il nostro cinema era il più importante al mondo, oggi i nostri registi sono ancora apprezzati ma c’è bisogno di favorire non solo le nuove produzioni, quanto di far tornare il pubblico al cinema, che ci sia una distribuzione che risponda ai gusti del pubblico e non solo ai film di cassetta. Qualcosa si sta muovendo ma ci sarebbe bisogno che si muovesse con maggiore velocità”.
Sottolinea con amarezza come “Solo i grandi film arrivano in sala, mentre servono più spazi capaci di accogliere il cinema indipendente, basta con l’ossessione del numero di spettatori in sala il primo giorno di proiezione. Il cinema ha bisogno del passaparola, sentire che ai tuoi amici il film è piaciuto fa crescere l’attenzione anche per le pellicole che non possono contare su un’azione di marketing attenta come accade per pellicole come “Mission Impossible”. Col pubblico si crea un dialogo continuo, soprattutto quando gli chiedono di indicare i registi che hanno cambiato la storia del cinema, fa i nomi di John Ford, Federico Fellini, Kurosawa, Fritz Lang e Chaplin. E tra i film italiani imperdibili “La dolce vita”, “C’eravamo tanto amati”, “Una vita difficile”, “Amarcord”. Confessa come non abbia apprezzato Parthenope di Sorrentino “Mi sembra che il regista sprechi il suo talento”. Sottolinea come per scelta recensisca “quasi esclusivamente film che mi sono piaciuti. Non mi piace sprecare battute per un film pessimo. Cerco di non essere mai cattivo in maniera gratuita”. Racconta come la passione per i film sia nata da bambino “andando a cinema, lasciandomi affascinare da ciò che vedevo. Negli anni ’60, del resto, il cinema era l’unico divertimento possibile. Non dimenticherò mai due film visti all’oratorio, King Kong e il Guerin Meschino. Era un mondo fantastico che mi conquistava ogni volta, Poi, ho studiato filosofia, ho acquisito consapevolezza del valore della cultura, ho scoperto che il cinema mi piaceva più del teatro e della letteratura. Mi sono dedicato al giornalismo, sono stato caposervizio, caporedattore, non mi occupavo solo di cinema”.
Sottolinea di non avere ricette per i capolavori “altrimenti sarei ad Hollywood ma mi sembra che i film che arrivino al pubblico sono quelli che non cercano battute da cinepanettoni, ma inseguono la narrazione in cui il regista crede e che è capace di trasferire allo spettatore”. Ribadisce come il compito del critico è quello di “aprire gli occhi dello spettatore, raccontare cose che magari gli sono sfuggite. E’ il tentativo di rendere in maniera razionale ciò che viviamo a livello emotivo. Oggi non abbiamo più bisogno di avvocati difensori di un certo modo di fare cinema come ai tempi della Nouvelle Vague ma di bravi maestri elementari che ci consegnino gli strumenti per entrare in un mondo che non conoscono. L’autorevolezza del critico non dipende dalla sua capacità di gridare ma dalla capacità di dire o meno cose interessanti”. E se in passato si prediligeva il critico che era anche scrittore “successivamente a prevalere sono stati critici che privilegiavano narrazioni più cinematografiche che letterarie”. A chi gli chiede cosa cerchi nel cinema spiega che “Quando vedo un film, ho voglia che mi coinvolga perchè mi fa paura o mi fa sognare, o comunque mi consente di credere in ciò che vedo. E’ importante che la storia abbia una sua credibilità. Mi danno, invece, fastidio i film che non sono credibili o che raccontano una storia in maniera sguaiata. Poi, naturalmente, valuto se lo scopro che si proponeva il film è stato raggiunto e se il modo di girare del regista è funzionale a questa finalità”.
Racconta come “Soprattutto i film dei festival cerco di vederli almeno due volte, poichè sono occasioni in cui abbiamo pochissimo tempo per scrivere la recensione. Non sono Superman, ho bisogno di riflettere. A volte, invece, scelgo di rivedere i film per piacere, si scopre sempre qualcosa che era sfuggito la prima volta, anche se non tutti i film meritano una seconda visione, ci sono pellicole che invecchiano bene e altre che invecchiano meno bene”. Spiega di non capire “L’ossessione per gli spoiler. E’ una delle cose più stupide. Io amo vedere i film anche quando so esattamente come andranno a finire, per il modo in cui la storia viene raccontata”. Non ha dubbi “Il cinema può ancora emozionare e smuovere le coscienze, soprattutto quando non viene fatto per riempire una casella produttiva di Netflix. Anche se bisogna fare i conti con i costi di realizzazione che sono molto alti”. E sulla concorrenza delle serie televisive, spiega di “non essere un uomo da serie. Non ho mai pensato che il futuro del cinema fosse nelle serie. Certamente, la complessità narrativa tipica della serialità ha influenzato il cinema, si spiega così anche la maggiore lunghezza delle pellicole ma mi sembra che in ogni serie il meccanismo narrativo sia sempre lo stesso, anche se confessa di aver apprezzato “L’arte della gioia” e “M”.
E sulle polemiche legate ai finanziamenti di film non sempre meritevoli, rivela di essere da quest’anno parte di una delle Commissioni “che decretano i contributi. Il sistema per l’assegnazione dei fondi è stato reso più complicato, poichè il ministro precedente era convinto che il cinema italiano producesse solo film di sinistra. Non è un compito facile quello della commissione, bisogna immaginare cosa verrà fuori dai film, se c’è un apparato produttivo su cui si può fare affidamento. Poi, da quando il film viene scritto a quando prende forma esistono, tante variabili possono entrare in gioco”, E sulla questione del film della Cortellesi escluso dai finanziamenti “Il film era stato proposto per ottenere il contributo relativo alla sceneggiatura ma erano già stati scelti altri tre film, perciò è stato escluso. Poi, avrebbero potuto proporre il progetto per i contributi relativi alla realizzazione del film, ma la candidatura non è stata mai presentata, poichè evidentemente non ne avevano bisogno, il film ha camminato sulle sue gambe”
Inevitabile il riferimento al dizionario che lo ha reso popolarissimo “All’inizio le schede erano sintetiche, poi, ho capito che era necessario un riassunto più esteso, perchè io stesso facevo fatica a ricordare le trame e le schede si sono ingigantite. Aumentando lo spazio dedicato al riassunto, aumentava anche quello dedicato alla critica e all’analisi del film. Ci accorgevamo che si poteva dire tanto di un film. Penso al Gattopardo, girato dal principe dei registi di sinistra, tratto da un romanzo stroncato dal Pci. Così Star Wars non è solo un giocattolone di fantascienza ma cerca di dare una forma cinematografica a influenze che attraversano la cultura americana. Mi sembrava che informazioni come queste fossero preziose per il lettore. Tuttavia, in qualche caso la lunghezza è diventata eccessiva. Ecco perchè nella prossima edizione abbiamo provveduto a ridurre qualche scheda”. Spiega come “non sia facile inserire tutti i film nuovi in ogni edizione, sono troppe le pellicole che escono su piattaforma. Dobbiamo fare una selezione”
Sull’intelligenza artificiale “Mi sembra inaccettabile che sia usata per scrivere sceneggiature che inevitabilmente guardano al passato o per far rivivere sullo schermo attori che non ci sono più. Avrebbe senso fare un film in cui recito con Marlon Brando? So che però si è rivelata utile per terminare, in alcuni casi, la lavorazione del film”, E ribadisce come “il livello del doppiaggio, dato il gran numero di film e prodotti che escono su piattaforme, sia notevolmente calato”.
E sugli strumenti per incoraggiare i giovani a riscoprire il cinema “Può essere utile proporre prezzi scontati per i biglietti ma anche la scuola ha un ruolo importante, facendo capire ai ragazzi che il cinema non è solo quello uscito l’ultima settimana ma anche di tanti anni fa. Quando nelle scuole abbiamo proposto esempi di commedia all’italiana, i ragazzi sono rimasti inchiodati alla poltrona, anche se i film erano in bianco e nero”
E’ quindi Michela Mancusi a ricordare come l’Eliseo debba continuare ad accogliere cinema, nel rispetto del sogno di Camillo Marino e Giacomo d’Onofrio e chiede a Mereghetti un consiglio per il prossimo film da inserire nella rassegna estiva “perchè non Lynch? Che ne dite di The Elephant man?”.