Di Rosa Bianco
A quarantasette anni dalla tragica scomparsa di Aldo Moro, la sua visione politica è tornata al centro del dibattito nella tavola rotonda svoltasi ad Avellino, promossa dal Coordinamento per la Fondazione “Democrazia Compiuta” e presentata da Teresa Mele e Clelia Gambino.
L’incontro, tenutosi nel pomeriggio del 9 maggio presso l’auditorium della Chiesa di San Alfonso Maria de’ Liguori nel quartiere San Tommaso, ha rappresentato non solo un omaggio alla memoria dello statista, ma anche un momento di forte rilancio culturale e civile su ciò che significa, oggi, costruire una democrazia fondata sui diritti.
Padre Antonio Marcello Proietto, parroco ospitante, ha aperto i lavori ricordando come Aldo Moro rappresenti ancora oggi un punto di riferimento imprescindibile per chi intende la politica come vocazione al servizio e alla responsabilità.
Antonio Limone ha richiamato la necessità di recuperare il senso della mediazione e del pluralismo come strumenti fondamentali del governo democratico, denunciando la deriva populista e mediatica che oggi impoverisce il discorso pubblico. Ha auspicato un ritorno a una politica ispirata alla profondità culturale e al rigore etico incarnati da Moro.
Enzo De Luca ha rievocato il Moro costituente, il politico che ha lottato per una democrazia sostanziale, fondata sull’inclusione e sulla giustizia sociale. Ha inoltre sottolineato l’urgenza di una governance europea più attenta ai diritti ambientali e sociali, lanciando un appello per un nuovo “patto civico europeo”, capace di unire sviluppo e solidarietà.
Di grande intensità è stato l’intervento di Gianni Festa, direttore del Corriere dell’Irpinia, che con lucidità e passione civile ha rievocato i drammatici giorni del sequestro Moro, sottolineando il ruolo svolto dalla stampa – in particolare da Il Mattino – nel raccontare quella tragedia con umanità e rigore. Festa ha però voluto guardare avanti, invitando a ripensare la politica come partecipazione autentica. «La politica è partecipazione», ha affermato, rievocando le sezioni di partito come luoghi di formazione e confronto, oggi scomparsi, travolti dal trasformismo e dal protagonismo sterile.
Con parole severe ma mai pessimiste, Festa ha invocato un ritorno alla passione civile autentica, non piegata all’interesse personale ma ispirata al bene comune. Ha ricordato “i magnifici sette”, quella classe dirigente che seppe guidare l’Italia e contribuire alla costruzione dell’Europa, contrapponendola al vuoto di riferimenti che oggi colpisce le nuove generazioni. Il suo messaggio è stato chiaro: senza politica alta, senza ideali condivisi, non ci sarà futuro.
Nel corso dell’incontro è emersa con chiarezza l’attualità del concetto di “democrazia compiuta”: non un ideale astratto, ma una necessità storica per affrontare le sfide del nostro tempo – dalla transizione ecologica alla crisi della rappresentanza, dalla giustizia sociale alla tutela dei diritti.
A rendere ancora più vivo e pulsante il senso dell’evento è stato l’intenso dibattito che ha fatto seguito agli interventi. In un clima di autentico confronto civile, il pubblico ha saputo arricchire il pomeriggio con riflessioni di grande spessore. Incisivi, coraggiosi e lucidi sono stati i contributi del notaio Edgardo Pesiri, che ha posto interrogativi sferzanti sul ruolo della legalità nella crisi delle istituzioni; del professor Pellegrino Caruso, che ha approfondito le degenerazioni del linguaggio politico e la necessità di una nuova educazione civica; dell’insegnante e giornalista Rosa Bianco, che ha invocato una rinascita culturale attraverso la scuola e l’informazione libera; e della consigliera comunale di Mercogliano Ilaria Gaeta, che ha posto la questione di come sia possibile creare nuovi modi di aggregazione sociale e politica, capaci di coinvolgere soprattutto i giovani.
La bussola indicata da Aldo Moro – una politica fondata sul dialogo, sulla dignità della persona e sulla costruzione del bene comune – ha ispirato ogni intervento, restituendo al dibattito pubblico un tono alto, profondo e necessario.
L’evento del 9 maggio non è stato soltanto un tributo alla memoria di uno dei padri della Repubblica. È stato un atto politico e culturale, un richiamo alto alla coscienza collettiva, che ha chiamato cittadini, istituzioni e forze sociali a riappropriarsi di un dovere fondamentale: quello di custodire e compiere, ogni giorno, una democrazia autentica e pienamente vissuta.