Dati i tempi bui in cui viviamo, vale forse la pena ricordare i tre cocnetti fondamentali, la vita, l’uguaglianza e la libertà, che costituiscono l’essenza dell’uomo o, per dirla per dirla con Aristotele, la sua sostanza prima di essere socievole dotato di ragione, cioè la sua natura autentica, inviolabile e irrinunciabile, la cui compiuta realizzazione dà dignità e valore alla sua esistenza. Vita, uguaglianza e libertà hanno una funzione duplice: sono diritti, diritti naturali, se consideriamo l’uomo in rapporto a se stesso, doveri se lo consideriamo in rapporto ai suoi simili. Ne potrebbe essere diversamente: ogni diritto è tale in quanto implica il dovere del suo riconoscimento e rispetto in rapporto ai propri simili,
La vita, nella sua effettività, è condizione necessaria anche se non sufficiente per l’esistenza degli altri due concetti. Ogni essere umano ha diritto alla vita: non c’è ragione al mondo che giustifichi la possibilità di togliergliela. Questo diritto è per lui, ipso facto, dovere di rispettarla in se stesso e negli altri uomini. Ne discende che la pena di morte è un’aberrazione inaccettabile ed esecranda (su cui Giacomo Beccarla ha scritto parole definitive e immortali) e il suicidio un gesto insano, che compie chi, per le ragioni più drammaticamente o persino banalmente varie e diverse, ha smarrito il ben della ragione. Esprime al massimo, direbbe Schopenhauer, una smodata volontà di vivere che nega se stessa, non accontentandosi della vita che ha.
Inoltre tutti gli uomini sono uguali e liberi in quanto tali: questi due concetti si collocano su un piano di parità: in quanto uomo, ogni uomo è, simultaneamente, libero e uguale agli altri uomini. Essere uguale a un altro uomo significa essere libero in modo compiuto al pari suo. Di converso, essere libero in quanto uomo significa avere la libertà è che bonum commune dell’universitas umana, che coincide con la loro natura di esseri razionali viventi. Le altre caratteristiche (maschi o femmine, omo o eterosessuali, colore della pelle, religione, lingua, professione, censo, etc.) si aggiungono come fatti accidentali, pur dotati di notevole importanza, che rinviano, di volta in volta, alla nascita, a fattori geografici o ambientali, a cause sociali o storiche. Di esse, alcune sono utili all’organizzazione della società (ad esempio, le differenze sessuali, le professioni); altre non hanno, e non debbono avere, rilievo, anzi possono essere anche gravemente nocive (ad esempio, la differenza del colore della pelle o di religione o di status sociale). Esse tutte, comunque, sono secondarie, prive come sono di autonomo fondamento: distinguono, differenziano in modo non sostanziale gli individui e persino i gruppi umani tra loro, ma non li differenziano mai – a meno che non si inventino artificiose quanto pericolose discriminazioni e disuguaglianze. Basta ricordare che l’uguaglianza e, con essa, la libertà sono sancite con ontologicità granitica dall’essere uomini. Il diritto dell’uomo all’uguaglianza implica per lui il dovere di trattare a tutti i livelli i suoi simili come uguali a lui. Lo stesso dicasi per la libertà di ogni uomo che trova il suo limite solo nella libertà dell’altro uomo.
La Stato di diritto e, come suo sviluppo il Welfare State, è lo Stato che assolve, innanzitutto, il decisivo compito di garantire e far rispettare in modo compiuto questi tre diritti fondamentali e i doveri che ne derivano.
di Luigi Anzalone