di Virgilio Iandiorio
La nostra percezione delle vacanze estive quanto è cambiata, rispetto ai tempi passati? Che cosa può distinguere la vacanza degli antichi da quella di noi moderni?
Nel suo Epistolario (Opere, vol. I, UTET 1996) Plinio il Giovane (nato a Como nel 61 o 62 – morto intorno al 114 in Bitinia) racconta della sua vacanza estiva nella sua villa che si trovava al confine tra Umbria e Toscana. Nella lettera (Epistularun liber V,6 ) indirizzata all’amico Domizio Apollinare, loda la posizione della sua villa:” La mia proprietà non solo è in una zona ritirata, lontana dal mare, ma si trova addirittura alle falde degli Appennini, che sono la catena di montagne più salubre che esista”. E questo lo diceva un uomo colto di due millenni fa, nato a Como, come a dire un lombardo, ma senza la lega.
“L’estate -continua Plinio la sua descrizione- è qui di una sorprendente mitezza: l’atmosfera è sempre mossa da qualche soffio di vento, ma sono più comuni le brezze che non i venti. Di qui la grande quantità di vecchi: si possono vedere nonni e bisnonni di giovani già nel fior dell’età, si possono ascoltare leggende d’una volta e conversazioni il cui tenore fa pensare agli antichi, quando tu giungi colà, ti verrebbe da credere di essere nato in un’altra epoca”.
Non è la sagra di paese quella descritta da Plinio, come tante che si fanno dalle nostre parti, ma qualcosa di più. E’ un tempo ritrovato insieme con nonni (avus,-i) e bisnonni (proavus,-i), che esistevano anche allora, duemila anni fa. Quello che manca alle manifestazioni nostrane, che a parole dicono di voler far rivivere il passato (gli antichi sapori, le antiche ricette), è la “conversazione”, il ritrovarsi insieme, come dice l’etimo di conversatio,-onis. Se non sappiamo raggiungere reciproca comprensione dialogando, scambiandoci idee, come possiamo “parlare” con gli antichi, attraverso le loro opere? Perché il nostro passato è come perduto per sempre, e a noi resta l’illusione di poterlo fare rivivere con un piatto di “rape e patate”.