di Rosa Bianco
C’è un luogo dove la parola torna a essere sacra, dove il bosco smette di essere semplice scenario e si fa tempio vivente: è il Lago Laceno, in Irpinia, e il suo respiro ha accolto, domenica 20 Luglio, ancora una volta la terza edizione del Festival “Letture dal Bosco”, che non è solo evento culturale, ma atto simbolico, gesto filosofico, epifania del sesenso.
Ideato e curato da Giuseppe Tecce, autore di “Racconti dall’Irpinia”, il festival è un ritorno all’origine della parola: pronunciata ad alta voce, non per dominio ma per dono, per creare ascolto, presenza, comunità. Come in un antico simposio immerso nella natura, le voci degli autori — Simona Laurenza, Attilio D’Arielli, Antonio Pacifico, e lo stesso Tecce — si sono alternate tra gli alberi come oracoli moderni, offrendo storie non per spiegare il mondo, ma per abitarlo con maggiore consapevolezza.
A guidare il giorno, con la grazia di chi non conduce ma accompagna, Grazia Caruso, volto divenuto familiare e ormai daimon del festival: il suo gesto non è semplice conduzione, ma cura — nel senso heideggeriano del termine — di ciò che vive e vibra tra autore e ascoltatore.
Nel cuore del pomeriggio, il momento più denso: la consegna dei Premi per la Cultura e l’Ambiente. Ma cosa premia, in fondo, un premio? Non l’eccellenza, ma l’essere-fedeli: fedeli al territorio, alla memoria, all’impegno quotidiano che non cerca applausi ma senso. Sono stati così onorati Lerka Minerka, il Prof. Giovanni De Feo, Irpinia Trekking, Mafalda De Simone, il Teatro d’Europa, il gruppo scout Agesci Benevento, Antonio Trillicoso, GrandTour, il Club del Libro Napoli, e il Rettore Giuseppe Acocella — nomi che non sono titoli, ma volti che operano nel silenzio come radici nel suolo. La giuria — Pietro Graus, Giovanna Prata, Rosanna Lemmo — ha scelto non tanto chi eccelle, quanto chi testimonia.
In una società che corre verso il rumore e la velocità, Letture dal Bosco si fa controtempo. Tutto è gratuito, inclusivo, aperto: la lettura non come performance, ma come atto democratico, come ascolto reciproco. Anche i partecipanti non professionisti hanno letto, portando il verbo dove spesso si tace: la cultura non è proprietà, ma relazione.
E poi, come ogni rito che si rispetti, la chiusura è affidata al simbolo: il rito al Piccolo Popolo, ideato da Michela Ottobre e dalle ragazze dell’associazione Sabba de Nuce, ci ricorda che l’umano non è tutto, che esiste un oltre, un invisibile, una soglia che solo l’immaginazione può varcare.
In tempi di disgregazione, Letture dal Bosco è un gesto di resistenza umanistica. Un festival che, tra gli alberi, ci dice che siamo ancora capaci di pensiero, di ascolto, di comunità. E che leggere insieme — nel silenzio di un bosco — è forse il modo più radicale di essere nel mondo senza possederlo.
Appuntamento all’estate 2026: con nuove storie, nuovi sguardi, nuove domande da abitare insieme.
“Chi pensa con le mani nella terra e gli occhi nei libri, ha già trovato la via.”