La situazione politica, a più di quaranta giorni dalle elezioni che hanno visto il successo di Di Maio e Salvini ma non l’indicazione di una maggioranza certa, si presenta complessa e difficile anche perché i partiti che si proclamano vincitori sono alle prese con una evoluzione, per così dire ideologica, che li possa collocare, una volta finita la propaganda all’insegna di un populismo sfrenato, in una dimensione più costituzionalmente corretta e filo europea.
E per fare questo ci vuole tempo perché non è facile rinnegare le promesse ed i programmi gridati ai quattro venti per troppo lungo tempo. In questa situazione si trovano il M5S di Di Maio e la Lega di Salvini. Per questi motivi la formazione del governo si presenta in stallo se, almeno uno dei protagonisti, o tutti e tre, non facciano un passo indietro e comincino a mettere le carte in tavola abbandonando la voglia di inseguire a tutti i costi gli elettori. Parliamo del M5S. La gestione Di Maio l’ha profondamente cambiato specie dopo il voto: ha abbandonato le rigidità del passato, la voglia di andare da soli senza alcuna alleanza, l’avvicinamento all’Europa, manifestando la possibilità di fare accordi e, quindi, di modificare il proprio programma in cambio di una guida del governo che, però, si presenta più problematica del previsto. Basterà la rinuncia al reddito di cittadinanza nei termini di una generalizzata utilizzazione o la non scelta di tutti i ministri, l’abolizione, sic et simpliciter, della legge Fornero o di un giansenismo radicale a fare del M5S di Di Maio un partito capace di stare e di muoversi, in una democrazia parlamentare e sostanzialmente proporzionale, come i partiti della prima repubblica? Non dovrà sciogliere anche alcuni equivoci strutturali che ne condizionano l’azione politica, come il nodo della “proprietà” del movimento detenuto dalla Casaleggio associati e quello della democrazia diretta? Può cambiare pelle in corso d’opera e non dipendere più dalla piattaforma Rousseau sempre in mano a Casaleggio e Grillo? Permangono ancora ambiguità e spregiudicatezza come nella teoria, un po’ superficiale e cinica, dei due forni: con la Lega di Salvini o con il PD, prima derenzizzato, dopo anche con lo stesso Renzi: “Franza e Spagna purchè se magna”, cioè alla sola condizione che Di Maio faccia il Presidente del Consiglio. La trasformazione dei penta stellati, da un movimento antisistema ad un partito costituzionalmente corretto, ha bisogno di conferme e di accettazione da parte degli elettori e le modifiche dovrebbero dar luogo ad un nuovo statuto ed all’avallo del duo Grillo e Casaleggio che dovrebbero accettare le nuove regole previste dalla Costituzione e fare un passo indietro, abbandonando la “proprietà” ed il “logo” del Movimento ed accettando la democrazia interna che si pratica attraverso le assemblee e gli organi di partito e non attraverso il Web. La situazione nella Lega di Salvini è analoga: è un partito fortemente lepenista, antieuropeo e anti euro, che incute paura ai mercati ed è inviso all’Europa e non basterebbe la “garanzia” di Berlusconi a farlo digerire. Non si passa da “prima i padani” e dai “napoletani che puzzano” a prima gli italiani e morte agli stranieri nello spazio di una settimana! I programmi della Lega e del M5S sono molto diversi come lo sono anche quelli di Forza Italia. A ciò si aggiunga la reiterata volontà del PD di rimanere all’opposizione complicando ancor di più i guai di Mattarella. Non se ne uscirà facilmente neanche con un incarico esplorativo o con un preincarico e si va sempre più prefigurando un Governo del Presidente guidato da una personalità politica super partes che curi gli affari correnti, nel solco del Governo Gentiloni, e faccia una seria legge elettorale di tipo maggioritario per tornare al voto non prima dell’autunno del prossimo anno.
di Nino Lanzetta edito dal Quotidiano del Sud