Riceviamo e pubblichiamo da parte di Luigi Caputo esponente di partito della Rifondazione Comunista – Unione Popolare Federazione Provinciale Avellino
Svolta, spartiacque, evento fondante: è questo il significato del 25 aprile, la festa della liberazione dal nazifascismo e della fine della guerra in Italia. Quest’anno celebrare la liberazione è, ancor più che nei tempi ordinari, atto di resistenza civile, quella del popolo antifascista il quale, nel succedersi delle stagioni politiche e delle generazioni, ha sempre difeso la democrazia, una democrazia difficile, esposta alle trame e alle insidie del “sovversivismo dall’alto” di cui parlava Gramsci e spesso perciò vulnerabile.
Il 25 aprile è anche la data che simboleggia la rifondazione della nazione italiana. Non la nazione guerriera ed oppressiva perseguita del regime fascista, che l’aveva piegata ai suoi disegni di potenza, ma la nazione dei cittadini e delle cittadine, con i loro diritti paritari e inalienabili. Con la liberazione si conclude un percorso cominciato all’indomani dell’8 settembre 1943, ma in realtà originato molto tempo addietro e mai interrottosi, nemmeno nei venti anni di regime, grazie all’abnegazione e al sacrificio di quanti, in Italia o in esilio, non si arresero alla tirannide.
Non solo di memoria, pertanto, si tratta, ma di una storia che assume le forme e le sembianze concrete delle istituzioni e dell’organizzazione politica e si oggettiva nella Costituzione. Lascia perplessi, pertanto, ascoltare talvolta l’affermazione secondo cui con la scomparsa dei protagonisti diretti di quella lotta sarebbe andato perduto anche il ricordo degli eventi. No, non è così, fortunatamente. Guai se la conoscenza della storia fosse demandata esclusivamente alla trasmissione diretta tra le generazioni.
La conoscenza di quello che Giorgio Bocca, giornalista e partigiano, ha definito “la più grande guerra popolare italiana”, non dipende dalla testimonianza dirette dei superstiti (le quali ben vengano, in ogni caso, anche perché aiutano a corroborare quel ricordo, evidentemente) . La lotta di liberazione ha bisogno, piuttosto, di essere rispettata nel nucleo oggettivo del suo svolgimento e nella portata della sua rilevanza storica. E’ in nome del rispetto di tale verità che va riconosciuta e valorizzata in tutte le sue espressioni la pluralità delle forze che ad essa concorsero, senza artificiosi distinguo ed inaccettabili discriminazioni. Troppo spesso è accaduto, soprattutto negli ultimi anni, di ascoltare ricostruzioni dell’epopea resistenziale in cui, ad esempio, l’apporto dei comunisti viene presentato come un limite o addirittura come un peso. Ai sostenitori di queste tesi è facile replicare che l’apporto di essi alla lotta antifascista e alla Resistenza è stato non solo determinante, come dimostrano i migliaia di condannati (operai, contadini, studenti) dal Tribunale Speciale e di combattenti sul campo, ma anche contrassegnato sempre da spirito unitario.
Perciò tale lascito viene rivendicato con profondo orgoglio dai comunisti di oggi. Allo stesso modo, occorre sfatare il mito che attribuisce allo stesso fronte resistenziale e alla cultura delle forze antifasciste la responsabilità di non aver fatto sì che i valori della Resistenza divenissero valori condivisi dalla generalità degli italiani, la cosiddetta “religione civile” del Paese.
La verità dei fatti ci dice invece che nell’Italia repubblicana è sempre esistita una componente dell’opinione pubblica (che ha attraversato come un fiume carsico l’intero dopoguerra per poi trovare un punto di riferimento prima nel berlusconismo e oggi in un governo radicalmente di destra), per la quale il rifiuto dei valori del 25 aprile è un dato costitutivo, fondato su motivazioni ideologiche e di classe impermeabili a qualsiasi messaggio di segno diverso. Chi oggi agisce per disarticolare la Costituzione repubblicana, trasformando la repubblica parlamentare nel dominio della/ del premier eletta/o dal popolo, chi intende imporre il pensiero unico nell’informazione (a partire da quella pubblica), chi reprime i movimenti giovanili che si battono per la pace e in difesa dell’ambiente, chi mira a un riassetto della società in senso sempre più classista e gerarchico, chi colpisce, intimidisce, dileggia il pensiero critico e il dissenso, chi denigra l’antifascismo o ne misconosce l’apporto al riscatto storico dell’Italia, deve sapere che nel Paese lo spirito resistente è ancora tenace e più vivo che mai e potrà riservare amare sorprese ai fautori di antistorici disegni regressivi.