Di Mino Mastromarino
Poveri genitori, alle prese con l’invasione familiare di telefonini e chatbot. Al Corriere della Sera, Eugenio Baraldi, direttore del Dipartimento Salute Donna e Bambino dell’ Università di Padova, ha ammonito che “l’utilizzo di apparecchi elettronici in età pediatrica può causare una serie di problemi”. Ha pure denunciato che “oltre il 70% dei bambini usa il cellulare dei propri genitori a soli due anni” e che “molto spesso i genitori sono convinti che se il proprio figlio è bravo a usare il telefonino sia più intelligente, ma questo è un falso mito che bisogna sfatare”. Infatti, lo sviluppo cognitivo dei minori è dato dall’acquisizione delle abilità linguistiche e logico-matematiche di base.
Secondo il concorde esito di diversi studi scientifici, i bambini con uno smartphone entro i 12 anni presentano un rischio maggiore di depressione, obesità e sonno insufficiente. Manfred Spitzer parlò addirittura di demenza digitale . Altro che intelligenza precoce !
I genitori ritengono poi l’intelligenza artificiale un loro alleato educativo. L’IA è avvertita come «meno pericolosa» dei social, tanto che – secondo un recentissima sondaggio – i genitori si dichiarano più tranquilli quando i figli la prediligono rispetto ai social, ma spesso perché non ne conoscono ancora i veri pericoli: quali esposizione a contenuti falsi o non verificati, bias, dipendenza dagli automatismi, perdita progressiva o mancata formazione della capacità critica. E’ evidente che sul funzionamento e sugli effetti cognitivi dell’IA viga una grande incertezza, specialmente nei rapporti endofamiliari e formativi. Molti genitori – e purtroppo la maggioranza delle persone adulte – confondono algoritmi, ChatGpt, filtri telematici con la speranza di relazioni educative innovative e, in quanto tali, più feconde.
Invece, i sistemi di IA generativa sono impostati in maniera da apparire capaci di sapere tutto e di poter rispondere a ogni domanda dell’interlocutore umano. Il quale è fatalmente indotto nella certezza di averne acquisito automatica contezza ( magari perché la risposta suona bene).
Questa illusione di conoscenza si chiama epistemìa, ossia la distorsione della realtà provocata dalla fiducia acritica nelle risposte dei grandi modelli linguistici (LLM) ai nostri quesiti. Attività di giudizio, di valutazione, di individuazione e di gerarchia delle fonti conoscitive, di discernimento che deleghiamo ai programmi di IA, tralasciando di porci il problema di verifica delle risposte. Chi e come – poi – sia dotato della capacità intellettiva ed emotiva per controllare la bontà del riscontro artificiale, sembra una questione che non ci interessi.
Questo è il discrimine tra episteme ed epistemia, tra conoscenza e il suo simulacro. L’intelligenza artificiale eroga risposte verosimili sotto il profilo linguistico, ma non sa quel che dice né sa controllare la correttezza sostanziale di quel che afferma. Insomma non conosce la differenza tra vero e falso. Icastica e condivisibile è la rappresentazione per cui l’IA fa il contrario della scienza, perché può comunicare tutto, pur senza conoscerlo.
L’ignoranza e la scarsa competenza generano, al contempo, inutili paure ed esiziali illusioni.



