La settimana che era iniziata con una Waterloo politica si è conclusa per Luigi Di Maio con una serie impressionante di successi; il che suggerisce quanto meno una certa prudenza nel dare prematuramente per spacciato il Capo politico dei Cinque Stelle. Ad evocare la sconfitta napoleonica era stato, dopo il voto su Salvini della piattaforma Rousseau, un commentatore politico acuto come Stefano Folli, che aveva scritto di un Movimento vicino al collasso, costretto a scaricare sulla base l’onere di una decisione pesante da digerire come quella di impedire alla magistratura di mandare a processo il ministro dell’Interno, indagato per sequestro di persona nel caso della nave Diciotti. Ora, è ben vero che in quelle ore concitate, fra lunedì e martedì quando la giunta delle immunità parlamentari del Senato ha archiviato la posizione di Salvini, Luigi Di Maio se l’è vista brutta, costretto a combattere su un fronte contro l’alleato di governo sempre più esigente, e sull’altro contro la storia e gli umori della sua parte politica che ha fatto dell’intransigenza la propria bandiera e del giustizialismo un programma indefettibile; ma è altrettanto vero che il risultato del voto su Rousseau alla fine gli ha dato ragione, mentre la contropartita subito pagata dalla Lega (e dal premer Conte) dimostra quanto meno che la contesa per il primato nella coalizione è ancora aperta.
Del resto, che si trattasse di un do ut des dai contenuti impegnativi lo aveva fatto capire lo stesso Matteo Salvini subito dopo aver preso atto del voto a lui favorevole della base grillina: “Luigi ci ha messo la faccia. E metterci la faccia paga sempre”. Sottinteso: ora tocca a me concedere qualcosa. Pronto, Di Maio è andato all’incasso, e si è portato a casa in rapida successione il congelamento della Torino-Lione, il rinvio sine die del progetto di autonomia differenziata delle regioni e il primo voto parlamentare sul referendum propositivo, salutato come evento “storico” dal ministro Fraccaro. Per buona misura, ha ottenuto anche la nomina di un suo uomo alla presidenza dell’Inps, che dovrebbe garantirgli il varo del Reddito di cittadinanza prima delle elezioni europee, con tutto ciò che ne potrà conseguire in termini di voti.
A questo punto, il calcolo del dare e dell’avere nella complessa partita che si è giocata nel giro di pochi giorni, si fa veramente complicato. La ministra Giulia Bongiorno, stratega della linea difensiva di Salvini, è stata chiara: se il suo “cliente” fosse andato a processo, sarebbe rimasto sotto scacco “per sei, sette, dieci anni”. Dunque, il prezzo pagato non è esoso. Tanto più che i benefit ottenuti da Di Maio hanno una scadenza: le verifiche si fanno a maggio, con le Europee. Sarà allora, quando la palla tornerà agli elettori, che si potranno misurare i consensi di Lega e Cinque Stelle e quindi capire se ad entrambi i partiti conviene proseguire con la formula attuale o cambiare alleanze. Tenendo conto che, in questo caso, solo Salvini può giocare una carta di riserva, quella del centrodestra.
Intanto, nel bilancio di fine settimana Luigi Di Maio può ascrivere a suo favore anche il risultato del vertice a tre con Beppe Grillo e Davide Casaleggio, giovedì a Roma. Assente il presidente della Camera Roberto Fico, il progetto accarezzato da Di Maio di trasformare il Movimento in qualcosa di più simile ad un partito vero e proprio, ha fatto qualche passo in avanti. Anche qui la scadenza è a maggio: fino ad allora il Capo politico non avrà rivali. L’unico che poteva fargli ombra, Alessandro Di Battista, ha mostrato tutti i suoi limiti nella campagna elettorale abruzzese: è rimasto prigioniero del suo personaggio costruito quando il Movimento cavalcava tutte le lotte; ora che anche Grillo privilegia l’azione di governo, sia pure come terreno di sfida con la Lega, si trova a disagio, e si vede.
di Guido Bossa