Racconta la fragilità dell’uomo Federico Preziosi ne “L’uomo qui assente”, edito da Delta 3, una fragilità che è legata al suo essere nel quotidiano, a dissimulazioni, smarrimenti e ipocrisie, come spiega Giuseppe Cerbino nella prefazione “L’uomo è chiamato all’assenza di sé perché l’assenza è sempre più feconda e ricca di suggestioni; laddove qualcosa non c’è, si può sempre immaginare. E laddove qualcosa c’è, dobbiamo sempre montalianamente “riperderla” per comprenderla”. E’ come se nei versi di Preziosi l’uomo cercasse sè stesso o si osservasse dall’esterno “C’è una parte dell’uomo che ricordo/la carta da parati, il suo appartarsi/l’eloquio che divaga come gli occhi/alla ricerca di immagini o cose/nel soppesare i sensi e le parole./E pare si accompagnino allo stesso/corpo che, con permesso, si fa strada/senza motivo e senza alcuna fretta/nell’attimo infinito in cui ricerco/una definizione che si sfuma/e che mi aspetta al varco dell’incontro”. E’ lo stesso Preziosi a spiegare come “L’uomo qui assente sono io, siete voi, sono tutte le distanze, le cose lasciate andare che continuano a restare. L’uomo qui assente è l’irrealizzato, il sopravvissuto, colui che deve andare verso il se stesso ignoto. L’uomo qui assente non conosce fine, perché l’assenza è soltanto la presenza più intima e sublime”
Le definizioni, le parole si perdono, la voce tradisce ma gli occhi rivelano “Dell’assurdo degli occhi mi racconta/e procede con fare calmo e tremulo,/la voce è un tradimento per le stelle./Se le scorgi nel volto di qualcuno/allora tutte le ragioni bruciano:/in fumo non risplendono di luce/eppure si restringono pupille/investite dai fiotti delle danze/ma non per gli occhi, non per quel fissare”. Il silenzio e l’afonia sono l’unico linguaggio possibile, poichè il non essere rivela più dell’essere “Ci si prepara a dire del silenzio/con uno scroscio afono del senso:/forse è questo l’amore per un uomo/un movimento informe che richiama/un abbandono a un suono, una risacca”. Preziosi gioca con il linguaggio, attraverso uno stile ermetico, in cui è sono le scelte lessicali e l’associazione di immagini a farsi rivelatrice, a partire dal contrasto tra essenza dell’uomo e apparenza, tra potenzialità e realtà “Se penso all’uomo che potresti essere/intrappolato in spoglie abituali/con la morte a bussare prima dell’alba/e le lenzuola bianche imbrattate a sangue”.
Nè dimentica la follia dell’uomo che non arretra e smarrisce la ragione, “Cammina l’uomo e non arretra il passo/incede come il sasso che a lui rotola/di fianco: ha gambe forti e la ragione/che si nasconde in un grumo di nubi./Dai propri piedi osserva l’ingraziarsi/di tutti quei pensieri nei palazzi/le luci accese e lo spoglio di sempre/appena di ritorno dopo il giorno”. Una follia che si contrappone alla quiete della natura che non può non richiamare il passato, le stagioni trascorse”Si porta un chiaroscuro di novembre/l’infatuazione adesso che è arrivata/e va feconda negli autunni andati che la siepe riporge nel viale”. E talvolta finisce lei stessa per tradire sè stessa”Confonde il mattino/un lampione un’aurora/una stasi di luce/affonda la notte/e non è ancora il giorno”. Poichè l’essenza dell’uomo è il suo mistero “Da sconosciuti ci si riconosce/con una certa familiarità/alla distanza leggera e cortese/d’appartenersi senza mai sapere/di quale morte morire domani”. E non è facile trovare conforto al dolore: “Si consola al dolore/col dolore/così che pieno/il ciglio ne ricavi/muscolature inedite/e poi si scavi un cenno/sul volto inerme/le trovate di memoria/avvedute assenze”. Eppure “Ci vuole poco a tingersi di cielo/negli occhi speranzosi di qualcuno/per una vita o forse per un solo istante di bellezza confinato/tra l’accadere e il già accaduto,/lo spazio di un sorriso, di un abbraccio oppure un bacio sono nelle nubi,”.Ma il dolore resta profondo “Ho un vuoto al cuore che non si direbbe/infatti non lo dico e non lo esprimo./Quando la musica non fa più male/e le pretese sfumano del tutto/provo soltanto nostalgia del tempo:/è un po’ come restare ma non essere,/sentirsi inadeguati al cambiamento,/un po’ come riperdersi per cose/del tutto necessarie eppure inutili”. E non ci sono dubbi che “qualcosa resta ancora da ascoltare volubilmente inerme e senza strada”- L’uomo non smette di interrogarsi su sè stesso “Chiede se avrà saputo raccontare/tutto quel che contiene lo stupore/con occhi intesi al sole del finire/che interamente al rosso del tramonto/affievolisce misero e composto”. Persino la maternità è un inganno, poichè “Tu sai, si viene al mondo/da recisi./Siamo gambi feriti se si mutilano/petali da dover offrire/e amiamo/dell’appassire il dissipare stanco”. L’unica certezza è la solitudine dell’uomo ” Aspetta che qualcuno sappia cogliere/le nostre solitudini da farne/un fertile terreno per l’eterno, aspetta che la semina si compia/ma del raccolto non avrai che gli occhi”. Nè ha senso affidarsi all’altro “fino a quando/affiorare dal tempo come senso/puro del nostro stare e la quiete/di trovare rifugio in quel qualcuno che con amore ci azzanna e ci sbrana”. Anche se l’amore resiste “Non ho imparato a fare a modo tuo/su queste lastre marmoree che interpretano/l’eterno un divagare come il sale,/smarrendo il mare tra le nubi grigie e quando piove sento come arrivi/anche se onda tu non sei oramai”. Per scoprire che la morte è anche una condizione interiore “Non abita più il dolore da tempo/sull’uomo morto in cameretta/senza espressione né parole e se/ ascolta il cigolìo dell’anta aperta non fa differenza”. Eppure è ancora possibile ritrovare nel senso etico una guida per l’uomo, nell’incapacità di accettare compromessi e sorriso di convenienza “nulla nel sorriso sa accettare che sia perbene il male quotidiano”.
E’ Emanuela Sica nella bellissima postfazione a evidenziare la tensione filosofica dei suoi versi che richiamano la lezione di Sartre sulla condizione dolorisa dell’uomo e la ricerca di poeti come Andrea Zanzotto e Mario Luzi con la loro riflessione sul rapporto tra il poeta e l’oscurità del mondo o di Patrizia Cavalli e Alda Merini e il loro tentativo di andare al di là dei limiti della coscienza “In ognuno di questi vi è, tangibile, l’esplorazione assoluta della precarietà esistenziale, l’incertezza dell’identità e il rapporto con il vuoto che diventa carne in una scrittura densa e intensa che indaga la condizione umana, dando voce alle angosce, solitudini e riflessioni esistenziali in cui, uno dei temi ri correnti, si materializza nella tensione tra presenza e assenza, tra visibilità e invisibilità, come se si giocasse con la contraddizione di un “io” che si afferma nel momento stesso in cui si dissolve”. Per concludere che “Il vuoto che emerge dalle sue pagine non è un abisso definitivo, ma un luogo di continua esplorazione e rivelazione. La poesia, qui, diventa uno strumento di indagine filosofica e umana, capace di rispondere con il silenzio alle domande senza risposta”.