Virgilio Iandiorio
Gli eventi drammatici che avvengono in diverse parti del mondo, e, in particolare, il flusso continuo di persone che in migliaia lasciano i loro paesi, soprattutto, del nord Africa per approdare ai lidi della nostra penisola, lo vediamo quotidianamente alla televisione e sui media.
Questi eventi tragici, conseguenti alle migrazioni, non sono una particolarità del nostro tempo. Purtroppo la storia dell’Occidente è caratterizzata da flussi migratori di intere popolazioni, che si muovevano da una regione ad un’altra, anche molto lontana, non solo a causa delle guerre e delle distruzioni che ne seguivano, ma anche per calamità naturali, pestilenze e carestie.
Non tutte le guerre, non tutte le migrazioni hanno per noi lo stesso peso, cioè sono da noi valutate per la loro gravità intrinseca e non per altri motivi di simpatia o di partigianeria.
Lo storico greco Erodoto, nato intorno al 484 a. C. e morto intorno al 425 a. C., nelle sue Storie, parola che in greco significa “investigazione” ” ricerca”, attribuisce ai Medi e ai Persiani un singolare criterio di valutazione dei popoli basato sulla distanza. Nel lib. I, 134, Erodoto scrive: “Subito dopo loro stessi i Persiani stimano i loro vicini, poi i vicini di questi e così via gradatamente; all’ultimo posto mettono i più lontani, perché per loro i più vicini sono sempre i migliori, e i più lontani i peggiori”.
Un criterio che non sembra tramontato, e che si intromette anche nei nostri comportamenti verso le guerre che stanno sconvolgendo il nostro mondo. Non si calcola l’importanza loro dalla vicinanza geografica a noi, ma dalle affinità politiche con noi. Perciò sono buoni, cioè da difendere a spada tratta, quelli che riteniamo portatori di motivazioni che collimano con le nostre idee; sono cattivi quelli che professano un credo politico diverso dal nostro. Un atteggiamento manicheo, derivante da una visione dualistica e intransigente della realtà degli eventi.