Due parole ormai sono quasi scomparse dal vocabolario dell’Europa e dell’Italia: Sud e Mediterraneo.
La centralità, dimenticata, del Mediterraneo potrebbe essere considerata come il motore non utilizzato, fermo, dello sviluppo del Sud, dell’Italia e dell’intera Europa. Eppure il bacino del “Mare nostrum”, luogo, da sempre, di scambi commerciali, di incontro e di formazione di civiltà, rappresenta un’area sempre più decisiva nello scacchiere internazionale.
E, invece, mentre si fa l’accordo per la “Via della Seta”, vengono indicati i porti di Trieste e Genova per le nuove rotte commerciali tra Cina ed Europa.
Se è vero che il bacino del Mediterraneo rappresenta un’area da sempre rilevante nello scacchiere geo-politico internazionale, è altrettanto necessario che le relazioni economiche tra l’Italia e il Mediterraneo devono ritornare ad essere al centro di una politica euro-mediterranea, da rilanciare con assoluta priorità.
In particolare, i paesi localizzati nel bacino Mediterraneo sono centrali per gli interessi economici a livello planetario, con i porti del Mezzogiorno che potrebbero svolgere una funzione strategica, e dovrebbero rappresentare uno sbocco significativo per i futuri rapporti economici.
La posizione geografica del nostro Paese richiede questa visione globale, ma anche la capacità di declinarla in tante visioni capaci di considerare le diverse relazioni commerciali che hanno le regioni italiane, pensiamo ad esempio alla Puglia e le altre regioni adriatiche verso la sponda balcanica piuttosto che la Campania e la Sicilia verso l’area Nord africana.
C’è da annotare, nel taccuino di una crisi epocale, che l’evoluzione di questo universo affascinante e spesso “dimenticato”, chiamato Mediterraneo, si è trasformato, nel tempo, da spazio comune a frontiera.
Il nostro Paese, come ci ricorda Giuseppe Provenzano, ricercatore della Svimez, ha ancora un “capitale mediorientale” da spendere, declinando nella dimensione europea il suo interesse nazionale, caratterizzato dalla prossimità ai Paesi della sponda Sud.
“La frontiera Sud”, come ha significativamente scritto lo stesso Provenzano, torna decisiva perché la bancarotta del nostro modello di sviluppo ci costringe ad affrontare alcune questioni di fondo: la distribuzione della ricchezza, le nuove geografie dello sviluppo, la sua sostenibilità sociale e ambientale. Tutte questioni che si pongono oggi, con diversa drammaticità e ventura, proprio intorno alle sponde del Mediterraneo.
Purtroppo con il recente accordo per la nuova “Via della Seta”, tutto questo viene contraddetto. Le coste e i porti del Sud, dalla Campania alla Puglia fino alla Sicilia, vengono tagliati fuori da decisioni politiche di portata storica e dunque di essere crocevia di importanti traffici commerciali tra le sponde del Mediterraneo e le grandi rotte mondiali. Come non essere d’accordo con Lino Patruno quando appunto scrive che “così si rivelano parole al vento anche quelle che vedevano nel Mediterraneo la chiave di svolta per la questione meridionale”.
di Emilio De Lorenzo