Quella dell’uomo è una “vita a termine”, peraltro ignoto. Pirandello dice che “la morte rivela il nulla che è la vita”, in sintonia con il nichilismo della filosofia del secondo Ottocento, da Nietzsche (con la sentenza “Dio è morto”) e Stirner in poi, e con quello della letteratura russa (Dostoevskij specie dei “Fratelli Karamazov”). La religione, segnatamente il cristianesimo, basandosi sul suo messaggio di “Philia” universale e sull’immortale spiritualità dell’uomo, sostiene che il nulla è la morte. La verità è che, nonostante le diatribe filosofico-cultural-religiose, né la vita né la morte si lasciano esorcizzare, ma si contrappongono a livelli di contraddizione antinomica, cioè irrisolvibile. Giuliano Minichiello – la cui vita ha avuto termine un anno fa, precisamente il 23 gennaio in una gelida domenica, quando il suo cuore nobile e fragile si è fermato – ha pensato, con la prodigiosa potenza della sua ragione speculativa e della sua intelligenza appassionata, queste contraddizione nella labirintica molteplicità delle loro storiche oggettivazioni, a partire dalla fenomenologia esistenziale dell’uomo nella sua individualità, andando alla ricerca della cifra del loro mistero destinale e del loro enigma. La sua vita del pensiero, di cui è testimonianza lo sterminato “corpus” dei suoi scritti, ha trovato espressione e spesso stimolo e ispirazione nella sua “vita activa”, che è stata quella di un desanctisiano “professore nato”, dotato di herbartiano “tatto pedagogico”come docente di storia e filosofia del Liceo classico “Colletta” di Avellino, preside del Liceo classico “Sabin” di Bologna, ordinario di Filosofia dell’Educazione e di Pedagogia Generale presso l’Università di Salerno per circa un trentennio. Così da lasciare un’impronta indelebile nella formazione positiva e integrale di cittadini e uomini dei suoi numerosi e colti allievi, che molto lo amarono e lo predilessero. Proprio ne “La Vita e termine”, Minichiello nota che né la logica, che nega la contraddizione; né il pensiero come tempo, divenire indefinito dove tutto compare e dispare, risolvono la contraddizione. Gli è che la contraddizione non si risolve, giacché siamo noi stessi. Bisogna, quindi viverla, come ci insegnano Giobbe e Gesù.. “Ne scaturisce che il solo atteggiamento che si può definire umano consiste nell’affrontare e superare l’ora della disperazione, custodire il senso del limite che emerge nel sentimento della rivolta, vivere nell’indugio e nella dilazione”. Con ciò rifiutando il darwinismo e l’alienazione merceologica consumistica della società capitalistica, che si serve di un apparato della potenza materiale che rischia di portare la civiltà umana al disastro dell’entropia ecologica (cfr. “Il pensiero e la tecnica” “Tecnica ed episteme”, in cui Minichiello ha esamina e descrive i processi logico-storici a base della scienza e della tecnica moderne). Ecco che quindi l’educazione interviene per favorire la nascita di un uomo, forse solitario ma solidale, autonomo e libero, ma partecipe in modo positivo alla dantesca “operatio humanae universitatis” (“Il racconto di sé da Rousseau a kafka”). Di questo grande filosofo ed educatore – mio compagno di studi liceali e universitari, che mi ha dato l’onore di essere amico fraterno di una vita – bisogna far sì, tributandogli l’omaggio che egli merita e che in vita gli è stato troppo negato, che la via del pensiero che gli ha aperto perché le nuove generazioni tornino a essere-di- casa nel mondo non piombi nel buio.
di Luigi Anzalone