Tempi nuovi si annunciano, ripeteva Aldo Moro, maestro di umanità e di equilibrio politico, dice Antonio Bassolino, osservando che il pensiero politico del grande statista è attualissimo e necessario per capire il presente e per dare risposte al domani. Per capire oggi Moro però bisogna in un certo senso mettere da parte la vicenda dell’assassinio brigatista, che ha assorbito e monopolizzato il dibattito politico. Ciò che Angelo Picariello fa nel suo ultimo libro “Liberiamo Moro dal caso Moro”, presentato al Circolo della Stampa, in una iniziativa promossa in collaborazione con l’Ordine dei giornalisti della Campania.
Ad introdurre il dibattito Alessandra Malanga, consigliera dell’Ordine dei giornalisti, e Stefano Vetrano; a moderare Pietro Giacomo de Conciliis. Relatori: Antonio Bassolino, Mario Mauro, Ortensio Zecchino, il pittore Ettore de Conciliis, autore del celebre Murale della Pace nella chiesa di San Francesco a Borgo Ferrovia, di cui proprio in questi giorni ricorre il sessantesimo anniversario.
“Liberare Moro dal caso Moro – continua l’ex presidente della regione Campania – significa restituire alla nostra storia il senso più alto della politica come servizio.
Non solo. Moro è stato il primo a parlare di dovere civile e civico del voto, e a comprendere l’importanza del dialogo con i giovani e con i movimenti. Da docente, ministro dell’Istruzione, ministro della Giustizia, da segretario di partito è stato sempre capace di leggere in anticipo l’evoluzione della storia, i mutamenti del ’68, e aprire spazi di confronto invece che di chiusura”.
Bassolino sottolinea il legame tra Moro e Berlinguer, “due uomini diversi ma uniti da una visione di democrazia compiuta”: “Moro aveva intuito la necessità dell’alternanza e della corresponsabilizzazione. Se il suo disegno di apertura al Pci fosse andato avanti, la storia politica italiana sarebbe stata diversa. Moro e Berlinguer sono stati uccisi due volte: dalle Brigate Rosse e da una politica che ha smarrito il senso del dialogo”.
Zecchino definisce Moro “un fatto storico, un evento che attraversa e plasma il Novecento. Moro insegnava che la politica non conosce nemici, ragioni personali, ma solo alte ragioni ideali. Oggi è il contrario”.
Per Zecchino la formazione giuridica di Moro è la chiave di volta per comprendere il suo pensiero: “A ventiquattro anni quando insegnava Filosofia del diritto a Bari, aveva già capito che il diritto naturale, allora tenuto in poco conto, era fondamentale per riaffermare in un futuro prossimo il primato della persona. Solo dopo le nefandezze della guerra, pensatori come Bobbio dovettero riconoscere però che il diritto naturale non era un rimasuglio antiscientifico”.
Sulla crisi della politica contemporanea, Zecchino osserva che oggi mancano figure capaci di visione e interlocuzione: “Moro difese fino all’ultimo l’unità del suo partito e la complessità della democrazia italiana, sostenendo l’alternanza come soluzione non più rimandabile per salvare la Dc e la democrazia stessa: il sistema politico italiano, la democrazia bloccata, cominciava a dare segni di crisi: l’inizio di una involuzione che avrebbe portato a Tangentopoli e alla fine della Prima Repubblica. Moro lo aveva capito, era più avanti di tutti. E la sua lezione è ancora viva: non chiudersi nelle differenziazioni della politica, ma aprirsi al mondo”.
L’ex Ministro del Governo Letta, Mario Mauro, si sofferma sulla crisi dei partiti “contenitori che nel corso del dispiegamento dei propri programmi sono capaci di cambiare continuamente idea. L’unica preoccupazione che hanno è andare dietro al sondaggio, inseguire il consenso. Ecco perché il pensiero di Moro è attuale. Se si avesse la forza di tramutare in un’opzione politica l’idea di Moro secondo cui l’Europa non è nel Mediterraneo ma è il Mediterraneo, oggi forse non saremmo la sponda Sud nella crisi Mediorientale”.
De Conciliis racconta la sua esperienza nel 1965 con don Renzulli, di come ha scoperto l’importanza del dialogo che assicura la pace: “Nel realizzare il Murale della Pace avevo in mente un paesaggio, ma poi decisi di rappresentare le ferite del mondo: la bomba atomica, la guerra, il Vietnam, accanto a San Francesco e al popolo del Quarto Stato di Volpedo. Era il mio modo di interpretare il Concilio Vaticano II e il messaggio di Paolo VI agli artisti: la libertà come atto di fede”.
De Conciliis lega la sua esperienza all’insegnamento di Moro: “Nel mio murale c’è il dialogo, lo stesso che Moro ha incarnato nella politica e nella vita. Sessant’anni dopo, quella spinta al dialogo è ancora necessaria: per la pace, contro i settarismi, per mettere insieme culture diverse. Come la marcia di Assisi dei giorni scorsi la pace è un cammino collettivo, mai solitario”.
A concludere l’incontro, l’autore Angelo Picariello che racconta la genesi del libro, la necessità di “liberare Moro” da letture riduttive: “Questo è il mio libro più facile perché Moro è un fiume in piena. Ha lasciato una mole impressionante di lettere e discorsi, una vita attraversata dalla storia con lo spirito limpido di chi pensa alla persona come centro dell’universo”.
Picariello si sofferma in particolare sul contributo di Moro all’articolo 3 della Costituzione, dove al secondo comma, si riconosce l’impegno della Repubblica a rimuovere gli ostacoli che limitano libertà e uguaglianza: “Quell’impronta è di Moro. La centralità della persona non è un portato astratto del cristianesimo, ma il frutto della sua esperienza di vita e di politica”. Ecco che cosa significa oggi Moro, il primato dell’umanesimo sulla politica: una visione che deve ancora farsi storia.