Rosa Bianco
Nel cuore del Mezzogiorno si è svolta la sesta lezione della Scuola di Educazione Politica diretta dal prof. Franco Vittoria, dal titolo emblematico: “La crisi della rappresentanza tra fragilità e incertezza sociale”. Un’occasione non rituale per restituire dignità alla riflessione, alla critica e al pensiero politico, oggi più che mai necessari in un’epoca segnata dalla disgregazione del legame civile.
L’intervento del prof. Raffaele Sibilio, docente di Sociologia dell’Università Federico II di Napoli, ha toccato i nervi scoperti di un tempo storico segnato da fratture silenziose ma profonde: generazionali, economiche, culturali e morali. Una società che si muove – o meglio, si frammenta – senza una direzione collettiva, afflitta da una precarietà non solo del lavoro ma dell’identità, della progettualità, del futuro stesso.
Il prof. Sibilio ha tracciato una diagnosi lucida: la politica ha smesso di anticipare i cambiamenti e si è ridotta a rincorrerli, spesso in affanno e con soluzioni individuali a problemi collettivi. Il bisogno, invece di essere condiviso, è diventato isolato. La risposta pubblica non riesce più a generare visioni comuni, perché manca la capacità – e forse il coraggio – di fare sintesi tra interessi diversi. Così la rappresentanza si sfilaccia e la democrazia smarrisce la sua voce.
È qui che emerge uno snodo cruciale della riflessione: nella società attuale, il dissenso non riesce più a diventare confronto, rimane soltanto conflitto. I problemi, invece di essere tradotti in agende condivise, si incancreniscono in lotte parziali, in frammentazioni senza mediazione. E il problema delle incertezze rimane, cresce, si accumula. Si moltiplica. Le fragilità sociali, invece di generare solidarietà, alimentano sospetto, competizione tra poveri, esclusione reciproca.
Non si costruisce più il futuro su un’idea di bene comune, ma sulla difesa di interessi immediati e personali. I corpi intermedi – sindacati, partiti, movimenti – non riescono a reggere l’urto di una domanda sociale sempre più disarticolata. L’errore non è stato solo quello di sottovalutare il cambiamento, ma di pensare che il cambiamento potesse avvenire senza educazione civica, senza responsabilità collettiva, senza memoria.
Sibilio ha ricordato che nel Sud Italia, a Napoli in particolare, questa crisi si manifesta con evidenza drammatica: città metropolitane prive di coesione, tra dispersione scolastica, disuguaglianze territoriali, povertà educativa e, al tempo stesso, punte di innovazione straordinaria. Due mondi che non si parlano. Un sistema che non riesce più a redistribuire opportunità, né a trasformare il disagio in cittadinanza.
La sua lezione si chiude su un’esortazione che è anche una sfida: tornare a pensare la politica come relazione, come progetto condiviso, come spazio di parola, ascolto, comprensione. La democrazia, se vuole sopravvivere all’epoca della solitudine organizzata, deve ritrovare il coraggio della complessità e la forza del dialogo. Non si tratta solo di rappresentare, ma di rigenerare.
E questo si può fare solo partendo dai territori, dalle scuole, dalle comunità che hanno ancora il coraggio di farsi domande. Perché quando la democrazia vacilla, non serve un urlo: serve un pensiero.
C’è poi un punto preciso, netto e incandescente, nell’intervento pronunciato dall’Onorevole Marta Bonafoni durante il dibattito seguito alla lezione del prof. Sibilio, che merita di essere posto al centro dell’agenda politica progressista: l’astensionismo non è solo un dato statistico, ma il sintomo profondo di una malattia democratica. È lo specchio opaco di un’Italia che ha smesso di riconoscersi come comunità di destino, come popolo che condivide una rotta, una speranza, un progetto. E che invece galleggia, frantumata, nelle sue disuguaglianze, nelle sue paure, nelle sue solitudini.
Bonafoni non offre un’analisi da osservatrice distante: attraversa, prende parte, cuce. Il suo discorso non è solo un gesto politico, ma un gesto artigiano: un lavoro di sartoria civile, come lo definisce lei stessa. Un invito urgente alla “ricomposizione”, non con retoriche salvifiche, ma con il filo resistente della prossimità e della rappresentanza materiale.
Siamo, come ricorda Papa Francesco, in un cambiamento d’epoca, non semplicemente in un’epoca di cambiamento. La globalizzazione ha prodotto una nuova concentrazione di potere in mano a pochi attori, dove capitalismo e tecnologia stringono alleanze oligarchiche che minacciano la democrazia. Le fratture si moltiplicano: economiche, sociali, generazionali, di genere, territoriali. Ma la politica sembra aver abdicato, lasciando spazio alla paura come strumento di governo.
La sinistra, avverte Bonafoni, non può accettare di essere risucchiata nello scontro tra identità contrapposte, che è il nuovo campo di battaglia dell’estrema destra. Non può farsi specchio del “noi contro loro” che ha già avvelenato il dibattito pubblico. Deve invece tornare a politicizzare il conflitto sociale, a nominare le diseguaglianze, a difendere il lavoro, a ricostruire il legame perduto tra rappresentanza e condizioni materiali.
Non c’è futuro senza memoria e la memoria della sinistra italiana è fatta di conquiste: lo statuto dei lavoratori, la legge sul diritto di famiglia, la 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza. Ma oggi quelle conquiste sembrano svuotate, derubate di senso da una stagione che ha separato i diritti civili da quelli sociali, il merito dalla dignità, la libertà dalla giustizia.
Bonafoni chiama a raccolta il Partito Democratico per una rigenerazione. Un partito che non sia curatore fallimentare dell’esistente, né mera macchina di emendamenti. Ma presenza viva, capace di entrare nelle faglie del paese, dove operano ogni giorno – spesso invisibili – il terzo settore, le cooperative, le associazioni. Da lì, dalla “società delle crepe”, può nascere una nuova grammatica della democrazia, che parli la lingua della cura, dell’uguaglianza, del futuro condiviso.
Non ci sarà alternativa se non si ricuce. E ricucire, oggi, significa restituire senso alla rappresentanza, costruire alleanze sociali, rigenerare fiducia. In una parola: politica. Non come scontro di slogan, ma come pratica quotidiana di ascolto e trasformazione. Come sartoria dell’umano.
Marta Bonafoni ce lo ricorda con forza e con grazia: il domani non ci aspetta, va preso per mano. Con la stessa fermezza con cui si tiene l’ago e il filo, mentre si cuce una ferita che ha urgenza di diventare speranza.
Nel suo intervento conclusivo, infine, il prof. Franco Vittoria ha offerto una riflessione sul senso della giornata formativa, collegando il tema trattato a esperienze personali e a una più ampia analisi della crisi della politica contemporanea.
Richiamando un’esperienza nel carcere di Secondigliano, ha evidenziato come, in contesti marginali, emerga una solidarietà autentica, spesso assente nella società dominata dall’individualismo. Da qui l’urgenza di ricostruire luoghi politici capaci di generare senso collettivo.
Ha sottolineato la necessità di ripensare il modello di partito: non più strutture verticali, ma soggetti inclusivi e radicati nei territori, in grado di rappresentare realmente e abitare i conflitti. In questo quadro, ha ribadito il valore dell’articolo 49 della Costituzione come fondamento per una democrazia compiuta.
Vittoria ha inoltre richiamato l’attenzione sulla crisi degli spazi pubblici, sottolineando l’importanza di una rete di presìdi democratici per promuovere formazione, partecipazione e decisione condivisa.
In conclusione, ha indicato nella riforma della legge elettorale e nella formazione politica – come quella offerta dalla Scuola – strumenti essenziali per rigenerare la democrazia, rilanciando l’intelligenza collettiva e la passione civile.
Nel dibattito che ha seguito la lezione, ha assunto particolare rilievo l’intervento dell’Onorevole Aldo Cennamo, il quale ha offerto una riflessione critica sulle dinamiche attuali dei partiti politici. Cennamo ha evidenziato come, dopo decenni di evoluzione, la politica rischi di ridursi a una semplice somma di interessi personali, perdendo così la capacità di rappresentare autenticamente i bisogni della società.
Ha sottolineato la difficoltà di costruire una comunità politica inclusiva e capace di dialogo, ricordando episodi storici in cui la politica era invece strumento di coesione e riconoscimento reciproco tra schieramenti contrapposti.
L’Onorevole ha invitato a un cambio di paradigma radicale, proponendo di “pensare l’impossibile” per rinnovare la politica, riscoprendo valori come il socialismo umanista e la centralità della collettività rispetto agli interessi individuali.
In questa prospettiva, ha ribadito l’urgenza di superare le logiche correntizie e di rimettere al centro il rapporto autentico tra rappresentanti e rappresentati, per far sì che la politica torni a essere uno spazio di partecipazione vera e di costruzione condivisa del futuro.
La lezione odierna presso la Scuola di Educazione Politica, diretta dal prof. Franco Vittoria, ha messo in luce, quindi, come solo attraverso un agire collettivo, fondato sulla partecipazione attiva, sul dialogo autentico e sulla responsabilità condivisa, sia possibile ricostruire il tessuto sociale e politico lacerato dalla crisi della rappresentanza. La vera sfida non consiste più semplicemente nel rappresentare, ma nel rammendare, nel ricucire le ferite di una società desiderosa di ritrovare la propria unità e riscoprire un senso profondo di comunione.