di Ranieri Popoli
Viviamo una fase della Storia umana molto complessa e delicata perché sono in gioco equilibri di civiltà che ritenevamo consolidati e che, invece, rischiano di essere soppiantati da altri che credevamo sopiti o, comunque, difficile da conoscere.
In tale contesto diventa plausibile il rischio che crescano e si diffondano atteggiamenti, mentalità e sentimenti disgreganti che creano fratture e distinzioni nella illusoria speranza di difendere la “normalità” dove il “diverso” dal punto di vista sociale, civile e umano diventano un problema, un’eccedenza.
E’ una società che se non arriva alle estreme conseguenze pone comunque dei limiti per cui si introducono princìpi di contenimento come la tolleranza, la compatibilità, la pietas, che servono a edulcorare tale visione esistenziale ma senza che venga messa in discussione l’idea di fondo di essa.
Ma, per fortuna, c’è anche una società che non accetta tali destini e ritiene giusto affermare valori completamente opposti che parlano di uguaglianza, di pari opportunità, di diritti, di inclusione.
Quest’ultimo, a mio avviso, è certamente uno dei più rivoluzionari in quanto introduce il concetto riflesso di accoglienza, ovvero di valorizzazione della diversità in un determinato contesto collettivo, fosse un gruppo sociale, una comunità territoriale o un’istituzione.
A differenza della tolleranza, che è pur sempre un atto di gerarchia, l’inclusione comporta una corrispondenza collettiva dove vi è una generale e reciproca accettazione mediata dal criterio della pari opportunità per tutti.
L’inclusione, quindi, non solo è agli antipodi dell’emarginazione o perfino dell’esclusione, ma si pone l’obiettivo di rimuovere tutti quegli ostacoli materiali e immateriali promuovendo la piena affermazione della propria personalità, esattamente come cita la nostra lungimirante Costituzione.
L’inclusione non è un obiettivo ma un modo di vivere che giorno dopo giorno sedimenta innanzitutto la sua affermazione culturale fino a diventare identità di un popolo, di una comunità, di ogni singolo cittadino che si afferma con l’educazione familiare, la formazione scolastica, la narrazione culturale di un territorio , la pratica comunicativa.
E una delle sintesi che meglio corrispondono a un simile modello , potrà sembrare strano, ma credo che sia lo spazio dove i bambini interagiscono, fosse una piazza, un cortile o un parco giochi.
Ecco perché quando un luogo come questo viene associato a tale messaggio civile, nel suo piccolo diventa esempio educativo per la crescita di una cultura dell’inclusione.
E la realizzazione di un piccolo parco giochi con l’installazione della “Panchina blu” nel suggestivo scenario dei Giardini del Castello Longobardo di Tufo, sull’area di sedime di quello che nel 1914 fu uno dei primi Asili infantili della provincia, dove oggi si apprezza una suggestiva villa comunale con relativo anfiteatro, lo dimostra in modo alquanto emblematico.
Tanto più che la nuova struttura ludica viene a trovarsi in adiacenza del nuovo Centro Polifunzionale “Sandro Pertini” dove si stanno svolgendo le altrettante interessanti attività del Campo estivo per bambini e ragazzi, realizzato in collaborazione tra Comune e Piano di zona sociale.
Sono piccoli ma importanti scelte quelle di dedicare una certa attenzione alle fasce più giovani della comunità nonostante si registino tendenze allo spopolamento, purtroppo, come nella stragrande maggioranza dei paesi della nostra provincia, preferendo interventi strutturali e non momenti di effimero intrattenimento.
L’auspicio è che il cammino intrapreso verso l’inclusione continui e si estenda nella sua diversa caratterizzazione sociale. Sono queste semplici ma significative esperienze che costituiscono la nuova rete di resistenza e di resilienza dei nostri piccoli borghi ed è bello vedere che i protagonisti siano queste nuove generazioni dell’Irpinia che verrà.