“Mi inquieta il fatto che sempre più spesso i giovani delinquano senza una causale, mossi da una violenza fine a sé stessa”. È la testimonianza maturata sul campo dal procuratore della Repubblica di Avellino, Domenico Airoma, intervenuto ieri sera al Meeting di Rimini in un incontro moderato dal direttore di Tempi, Emanuele Boffi, al quale hanno preso parte anche Giancarlo Cesana, professore di Igiene generale e applicata all’Università Milano-Bicocca, e Maurizio Patriciello, parroco di Caivano. Per Airoma, che ha partecipato anche nella veste di vicepresidente del Centro Studi Livatino, si è trattato dell’ennesima presenza al Meeting.
Il magistrato ha spiegato come l’assenza di una motivazione nei reati commessi dai giovani renda spesso più difficile risalire agli autori:
“Se c’è un insegnamento che ho tratto in quarant’anni di lavoro – ha osservato – è che comprendendo la causale di un delitto si può arrivare più facilmente a identificarne l’autore. Oggi, purtroppo, soprattutto tra i giovani, si delinque senza motivo, spinti da una violenza cieca”.
Airoma ha poi offerto una riflessione sul rapporto tra genitori e figli:
“Quante volte i genitori stentano a riconoscere i propri figli quando finiscono in simili contesti. Ma è un dato di fatto: oggi i ragazzi sono molto più figli del loro tempo che dei loro genitori. Viviamo immersi in una melassa relativistica, dove non esistono più confini netti tra bene e male. Eppure, io che faccio di mestiere il “pessimologo”, quel male lo vedo, lo incontro ogni giorno. Il problema è che ai giovani nessuno parla più di bene e di male, e quando si trovano faccia a faccia con il male, non sanno come affrontarlo”.
Accanto a questa analisi, Airoma ha voluto però proporre anche uno sguardo di speranza:
“Non credo a programmi di rieducazione imposti dall’alto – ha detto – perché nessun percorso educativo può reggere se non nasce nel cuore della persona. Lo ha ricordato anche il Pontefice: tutti portiamo dentro di noi una legge scritta, ma ciascuno deve scoprirla personalmente. Noi non possiamo sostituirci, possiamo solo favorire questo cammino”.
A sostegno delle sue parole, il procuratore ha raccontato le vicende di due camorristi – uno giovane e l’altro meno – che hanno deciso di collaborare con la giustizia. In entrambi i casi, ha sottolineato, la svolta è arrivata da un incontro umano, anche con i magistrati, che ha permesso loro di intravedere la possibilità di un cambiamento.