“Mi aveva sempre colpito il Deposto ligneo dell’Abbazia di Montevergine. Le braccia allungate del Cristo fanno sì che non ci sia spazio per altre figure, come nell’immagine tradizionale della deposizione, in cui ad accompagnare il corpo sono due dolenti, la Madonna e San Giovanni e Nicodemo e San Giuseppe d’Arimatea”. Spiega così la storica dell’arte Giovanna Nicodemi il punto di partenza dello studio “Eloì, Eloi, lemà sabachthàni?”, presentato nei giorni scorsi nella Cappella del Tesoro di San Gennaro, a Napoli, alla presenza del Presidente Onorario della Delegazione Campania del Real Circolo Francesco II di Borbone, il Duca Riccardo Carafa d’Andria della Stadera, del Delegato, il barone Alfredo Buoninconti, di Mons. Vincenzo De Gregorio, Abate Prelato della Real Cappella del Tesoro di S. Gennaro. “Sono partita dallo studio della deposizione – spiega Nicodemi – per allargare lo sguardo all’intero ciclo della vicenda umana del Cristo compresa tra la Crocifissione e la Resurrezione. E’ quella che ho chiamato pentalogia funebre: la discesa dalla Croce, il compianto sul Cristo morto con il dolore corale delle pie donne, la Pietà, in cui incontriamo il dolore di una mamma che piange il figlio, il Trasporto del Cristo al sepolcro e la deposizione. Sono gli episodi che hanno costituito i Misteri, le statue che sfilano nei riti della Settimana Santa, sui quali esistono poche tracce in testi scritti, al di là di qualche anno accenno nei Vangeli Sinottici e Apocrifi. E’ nata una ricerca accurata tra archivi e biblioteche che si fa indagine artistica e antropologica”.
Ribadisce come “Si tratta di un’iconografia che si ricollega al Medio Evo, al desiderio dell’uomo del tempo di tradurre in immagini ciò che non riusciva ad esprimere attraverso le parole. L’arte diventa strumento per avvicinarsi al trascendente, da quella stessa esigenza nascerà la rappresentazione drammaturgica .Così se il compianto nasce dalle lamentazioni che accompagnano sempre il rito funebre, la Pietà si ricollega a un testo letterario di Simone Logoteta, detto il Metafraste che immagina il dolore della Vergine nel ripensare ai momenti in cui aveva suo figlio tra le braccia. Nei conventi femminili nell’area renana, in Germania, ci troviamo di fronte per la prima volta a queste immagini, le Vesperbuild, sculture raffiguranti la Pietà, con la Madonna con in grembo il corpo di Gesù morto”. Sottolinea come “lo stesso trasporto del Cristo sia arrivato alla cristianità da figurazioni pagane nell’ambito del Rinascimento, contraddistinto dal desiderio di ritorno alla classicità, con il ritrovamento di quattro rilievi raffiguranti il trasporto di Meleagro. Quello che sarà il modello anche della Pala Baglioni di Raffaello. Nasce così la pathos formel, una figura archetipica che ripropone il corpo morto con le braccia abbandonate lungo il corpo, che va dal Caravaggio con la Deposizione del Cristo fino all’uccisione di Marat di David”. Nicodemi si sofferma sulle opere preziose ritrovate in Campania, dall’Irpinia a Napoli, a partire da una serie di crocifissi inediti come quello di Santa Maria a Vico o quello mutilo di Sant’Ippolisto. Fino al bellissimo crocifisso di S. Maria delle Grazie a Mirabella. Fino a una serie di Compianti, come quello di Teggiano che rimanda a quello della chiesa di Sant’Anna dei Lombardi a Napoli”.
Un libro che diventa l’occasione anche per formulare una nuova ipotesi interpretativa sul Deposto di Montevergine “Non mi convinceva lo spazio tra il corpo le braccia, era insolito che non ci fossero altre figure a sorreggere il corpo del Cristo. Di qui l’idea che non fosse originariamente un deposto ma un compianto sul Cristo morto e che dunque la scultura raffiguri inizialmente il Cristo in posizione orizzontale, circondato dalla Vergine e da Maria Maddalena. Una presenza, quella di una figura femminile, identificata come Maria Maddalena, attestata anche da alcune fonti verginiane”.