di Giulia Di Cairano
È il 2018 quando Joy Buolamwini, informatica statunitense e ricercatrice presso il Media Lab del MIT, si rende conto che il software di riconoscimento facciale del laboratorio non riconosce il suo volto. Sottoponendo mille visi al sistema, emerge che il margine di errore per gli uomini bianchi si attesta all’0,8%, invece per le donne afroamericane oscilla dal 20 al 34%. La distorsione deriva dal campione poco rappresentativo delle minoranze su cui il sistema è stato addestrato. Se i dati di addestramento dell’algoritmo sono discriminatori, l’output riflette i pregiudizi e si crea un bias. Recente e complessa è la forma di disuguaglianza analizzata dalla dottoressa Buolamwini, ma è l’anello di una catena molto più lunga e arrugginita, che la lega ad una sua collega nigeriana, Blessing Okoedion. Laureata in informatica nel suo Paese d’origine, la Nigeria, la signora Okoedion ha subìto uno dei più esecrandi crimini contro l’umanità: la tratta delle donne. Mentre in Occidente c’è chi si interroga su come cambia l’essere umano quando la sua coscienza è modulata da sistemi algoritmici, ponendo una questione ontologica che riguarda anche l’autonomia di scelta e dunque la libertà democratica, oltre che l’uguaglianza, nel continente africano perpetua il mercato nero della tratta di esseri umani destinati allo sfruttamento sessuale, ovvero un’antica pratica che nega i diritti umani universali e che coinvolge il civile Occidente, destinazione delle vittime e luogo di consumo degli abusi.
Secondo il filosofo Isaiah Berlin, la libertà è l’immunità dalle interferenze esterne e se si concedesse ad un contadino egiziano, egli avrebbe la stessa libertà del professore oxfordiano, pur non avendo la sua istruzione, le sue risorse economiche e la sua assistenza sanitaria. Berlin, essendo un liberale e un filosofo del linguaggio, non pare turbato dall’impossibilità per il contadino di esercitare la propria libertà, di renderla cioè sostanziale, perché la libertà tout court non va confusa con altri valori, come la giustizia sociale e l’uguaglianza. Eppure, questa libertà è vuota. È una chimerica possibilità. Lo è per i poveri, le minoranze e ancora molte donne in Occidente, come lo sarebbe per le vittime della tratta, che nella maggior parte dei casi non hanno neppure conosciuto una libertà formale. Blessing Okoedion fa eccezione: è una donna istruita e indipendente, che è stata ingannata con l’illusione di giungere in Italia per lavorare. Tuttavia, non è corretto definirla un’eccezione. Mentre il pensiero decoloniale tarda a consolidarsi, il 57% dei laureati STEM è donna nelle regioni MENA (Middle East and North Africa), il nostro futuro si giocherà in Africa, sia in quanto baricentro demografico sia quanto a materie prime, e gli artisti africani compongono film, romanzi e canzoni di cui noi fruiamo.
In questo quadro complesso, è difficile rispondere alla domanda di Blessing – insignita dal Dipartimento di Stato americano del riconoscimento di “Eroe contro la tratta di esseri umani” – su come educare i giovani a relazioni libere e liberanti, posta a Papa Francesco. Forse una possibile risposta è proprio lei, con il suo esempio. A dimostrarlo è la scelta, da parte di alcuni adolescenti, di invitarla alla serata di beneficenza “Note narranti”, tenuta a Nusco lo scorso 30 dicembre.
Giunto alla seconda edizione, questo evento ha nuovamente raccolto dei fondi per 60 orfani del Burundi. Essendo la sanità e l’educazione i due punti per cui, si dice spesso, passa il futuro di una comunità, la Madre superiora della “Congregazione del Cuore Immacolato di Maria”, Daphrose Kiraniguye, si impegna nel garantirle in un contesto di povertà anche attraverso questi fondi. Ma più che di quantità si dovrebbe trattare la qualità degli aiuti umanitari. È inutile nascondere che sono una forma di dipendenza verso i Paesi occidentali, ma è giusto riconoscere che in una prospettiva temporanea sono necessari e che non sono i soli strumenti che i giovani utilizzano. Infatti, nel corso della serata, oltre alla testimonianza sopracitata, è intervenuta la psicologa Laura De Falco dalla “Cooperativa sociale Demetra”, che opera per l’integrazione sociale di persone a rischio di emarginazione o esclusione, con particolare riguardo alle donne vittime di violenza di genere. Come per Elena Cecchettin si è fatto ricorso al mito di Antigone, che ha condotto, si direbbe oggi, una battaglia sociale sul corpo del fratello, per la comune volontà di smuovere la coscienza collettiva, anche un epiteto della dea Demetra, melaina cioè nera, furiosa per il rapimento della figlia Persefone, riecheggia in quel “Se domani sono io, mamma, se non torno domani, distruggi tutto”. Ma se è vero che le rivoluzioni si fanno con il sangue, nel caso della violenza di genere ne è stato versato già molto e nulla cambia davvero senza una metamorfosi culturale. Lo ha ribadito la dottoressa De Falco, ripercorrendo alcune tappe fondamentali della lotta alla violenza contro le donne. Tra queste viene citata la Convenzione di Istanbul del 2011, primo trattato internazionale che riconosce il fenomeno come sistemico e include anche la violenza psicologica ed economica, oltre ad introdurre un permesso di soggiorno straordinario per le donne migranti che fuggono da situazioni di violenza. «Oggi, quando si parla di violenza, c’è un stretto legame con la disuguaglianza», ha sottolineato la psicologa, all’interno di relazioni «che sono state costruite in un sistema patriarcale, non sono naturali». Viene poi usata l’immagine della spirale per esemplificare le varie fasi della sopraffazione e dell’isolamento della donna, seguita dalla coraggiosa e toccante testimonianza della signora Maria, vittima di violenza domestica da parte del marito, che è riuscita a salvare sé e i propri figli grazie ad una casa rifugio, risultando così una narratrice di speranza nel corso della serata. “Weavers of Hope” è l’associazione fondata da Blessing Okoedion, che si impegna nella sensibilizzazione, nella prevenzione dei fenomeni di tratta e nella protezione delle vittime. In relazione a storie di solidarietà femminile, anche lei è stata aiutata ad uscire dall’inferno della prostituzione da una donna, Suor Rita Giaretta, che ha anche rinfocolato la sua fede cristiana. Lo ha raccontato nel suo libro “Il coraggio della libertà”, la cui prefazione è stata curata da Dacia Maraini, già ospite nella prima edizione di “Note narranti”.
Nelle luci soffuse dell’ex chiesa di San Rocco, il pubblico dell’evento benefico è stato accolto da due braccia di foto scattate da Carlo Fierro e sull’altare sconsacrato si sono alternate alle parole le note di tre giovani musicisti dotati e preparati. Più che di meri intervalli musicali, si è trattato di suggelli dei momenti di riflessione: le note hanno scandito gli accenti di sollecitazione, gli sbalzi emozionali e le sillabe di dolore, smussando gli spigoli dell’aria scheggiata dalle parole e riscaldando dal freddo dell’inverno e dell’individualismo egoista. Il pianista Andrea Calzerano ha suonato Mozart, John Field – che i più conoscono come inventore del genere romantico del notturno – Brahms e Rachmaninov, considerato l’ultimo dei più grandi pianisti che l’umanità abbia mai avuto. Ha poi concluso con un brano recente e commovente: “L’alloggio segreto di Anna Frank-La città di Freddie” di Remo Vinciguerra. Ancora una volta, una grande voce femminile è stata omaggiata, confermando come tutte le forme di discriminazione e violenza sono collegate, dalla Shoah alla tratta di esseri umani, passando per la violenza contro le donne e le minoranze. Il duo composto dal sassofonista Lorenzo Pizza e dal pianista Mario Pascale ha eseguito l’Helin di Daniele Salvatore e l’Ave Maria di Astor Piazzolla, richiamando una delle donne più significative della Storia.
Il direttore artistico dell’evento è stato nuovamente Alessandro Ebreo, portavoce del comitato “Hug for future”, con il sostegno di un gruppo di giovani volenterosi e del Rotary Club Sant’Angelo dei Lombardi Hirpinia Goleto nella persona di Rosario Maglio. A coadiuvarlo nelle presentazioni è stato Canio Zarrilli dell’associazione calitrana “I teatranti del sipario”, che ha letto alcune poesie, affiancando così alla musica la sua arte sorella. Tutte queste persone hanno non solo riportato alla luce il vero senso delle feste, che non sono solo dolci, riposo e divertimento, ma sono soprattutto esempi di cittadinanza attiva e di immaginazione culturale, sociale e politica.