Tre secoli di carcere complessivi per i 21 affiliati al “Nuovo Clan Partenio”. Questa mattina i giudici del tribunale della Seconda Sezione Penale di Avellino (presidente Gian Piero Scarlato, estensori Giulio Argenio e Lorenzo Corona) hanno spiegato in 1400 pagine le motivazioni della sentenza emessa l’11 luglio scorso per uno dei processi di camorra più importanti per la provincia di Avellino. Nato dall’ operazione dei Carabinieri del Nucleo Investigativo denominata “Partenio 2.0”, culminata dopo ben 5 anni di indagine (il primo filone era datato 2014) nel blitz dell’ottobre del 2019.
Diciannove persone accusate di associazione a delinquere di stampo mafioso a vario titolo, affiliate ad un clan che aveva esteso la sua egemonia criminale in tutta l’Irpinia. Al vertice Pasquale Galdieri detenuto in regime di 41 bis nel carcere di Sassari condannato a 25 anni di reclusione. Per il fratello minore, Nicola, 21 anni.
Dall’attività istruttoria che costituisce il fulcro della sentenza sono emersi numerosi elementi che testimoniano la forza intimidatrice dell’associazione, e la conseguente condizione di assoggettamento e omertà che la stessa era in grado di ingenerare nella generalità dei consociati.
Il clan faceva sistematico ricorso a violenze e minacce, in qualche caso poste in essere anche avvalendosi della disponibilità di armi. Una capillare organizzazione caratterizzata da un rigido organigramma e dalla precisa ripartizione dei compiti tra i diversi associati.
Un sodalizio ramificato che esercitava un controllo egemonico sul territorio di riferimento.Il fulcro della sentenza depositata lunedì (alla scadenza della proroga accordata per la complessità del verdetto ai magistrati ndr). Dopo una valutazione in diritto delle caratteristiche di un’organizzazione criminale, i magistrati riconoscono come dell’istruttoria dibattimentale appaia corrispondente quella denominata “Nuovo Clan Partenio”: “Tanto premesso in punto di diritto- si legge nelle motivazioni- dall’attività istruttoria espletata sono emersi numerosi elementi che testimoniano la forza intimidatrice, propria dell’associazione, e la conseguente condizione di assoggettamento e omertà che la stessa era in grado di ingenerare nella generalità dei consociati.
«Un cancro che si era infilato in tutti gli ambiti della società civile», scrivono i magistrati riguardo al clan che si occupava tra l’altro di usura, influenzava lo spaccio droga e controllava le aste immobiliari. Il tutto in clima di terrore. Le vittime addirittura in alcuni casi sono costrette a espatriare. L’atteggiamento dimesso delle vittime delle condotte estorsive ed usurarie era totalmente remissivo«.