di Virgilio Iandiorio
Le ultime vicende sulla guerra in Ucraina e la spocchia di chi aveva annunciato di farla finire in ventiquattro ore, mi fanno venire in mente la coniugazione di quel verbo napoletano “o willòco, o willànno, o wiqquànno”, usato da chi ti sta dicendo che una cosa è l’ lì per essere conclusa. Naturalmente chi è interessato a farti vedere per imminente una cosa, ti mette davanti anche un numero che racchiude la distanza temporale della conclusione dell’azione. “Tra quindici giorni”, è diventata una espressione comunemente usata, dalle mie parti, per prendere in giro gli amministrati, cioè i comuni cittadini.
Molti si aspettavano segnali positivi dall’incontro a Istanbul tra Ucraini e Russi. La fumata è stata nera. Perché ci è difficile per noi capire che la fine della guerra significherà anche quella di Putin. E allora? Vai avanti con “o willòco” perché così dai all’esterno l’impressione di essere disponibile, e all’interno la convinzione che siano gli altri a non volere la pace.
Per noi occidentali in genere, cioè europei e nord-americani, diventa difficile comprendere certi atteggiamenti di chi abita in altra parte del pianeta. E la Russia non fa eccezione. “Mia madre – scrive Mikhail Shishkin– insegava a scuola, ma naturalmente all’epoca non mi rendevo conto di quanto fosse difficile per lei e per tutti gli insegnanti organizzare le lezioni. Si trovarono di fronte a un compito senza soluzione: insegnare ai bambini a dire la verità e allo stesso tempo prepararli a una vita nella terra della menzogna. Secondo la legge scritta si dovrebbe sempre dire la verità, ma quella non scritta dice: se dici la verità, sei responsabile delle conseguenze. Gli insegnanti cercavano di salvare questi giovani [studenti] amanti della verità iniettando in essi una forte dose di paura. Anche se in quel momento risultava un po’ doloroso, li immunizzò per tutta la vita. Forse ci hanno insegnato male la chimica e l’inglese, ma ricevemmo un’educazione esemplare nella difficile arte della sopravvivenza: dire una cosa, pensarne un’altra e farne una terza” (M. Shishkin, Russki mir: Guerra o pace, Soliera (Mo), 2022, pp.27-28)
E ci sono buoni motivi per credere allo scrittore russo M. Shishkin. Nato a Mosca nel 1961, nel 1995 si è trasferito in Svizzera, dove vive a Zurigo. Scrive su i più importanti giornali d’Europa e d’America. Ha manifestato la sua opposizione alla politica estera di Putin. Contrario all’annessione della Crimea nel 214, si è opposto all’invasione russa dell’Ucraina nel 2022, e non ha avuto paura di scrivere che “Putin sta commettendo crimini mostruosi in nome del mio popolo, del mio Paese e mio” e ancora “nella Russia di Putin è impossibile respirare. La puzza che emana dagli stivali dei poliziotti è troppo forte. (The Guardian, 7 marzo 2022).
E’ difficile indicare la data della fine di questa sanguinosa guerra. E chi l’ha iniziata non può fermarla, perché sa bene che con la fine delle ostilità finirà anche il suo potere. Come a dire finché c’è guerra c’è speranza. Perciò andiamo avanti con “o willòco, o wiqquànno, o billànno”, tanto c’è chi non si stanca di restare in attesa, perché si può sempre fare un business, comunque vadano le cose.