Violenza sessuale Ospedale San Giuseppe Moscati di Avellino: prosciolto 60enne, perchè il fatto non sussiste. Quasi tre anni trascorsi con l’onta di un’accusa infamante, quella per un dipendente dell’azrenda ospedaliera di aver molestato una donna recatasi al Cupdell’ospedale “Moscati” per effettuare una prenotazione.
Accusa che, che non ha trovato nessun riscontro nelle indagini, condotte dalla polizia giudiziaria e dalla difesa, rilevandosi totalmente falsa e che l’imputato, difeso dall’avvocato Carmine Anzalone, aveva sempre respinto con forza. L’episodio risale al 20 Agosto 2021 quando una donna, una 33enne di origini albanesi residente a Mirabella Eclano, che accusava di violenza sessuale un dipendente dell’ufficio CUP dell’azienda ospedaliera “Moscati”, il quale l’avrebbe condotta in una stanza chiusa e senza finestre con la prospettiva di una corsia preferenziale per alcune visite specialistiche che non potevano concludersi allo sportello.
Quello che è emerso, secondo quanto ricostruito dalle indagini difensive e stabilito nel corso del procedimento, è una storia tutta al contrario che ha portato il Gup del tribunale di Avellino,Francesca Spella, a pronunciare sentenza di non luogo a procedere. Oltre all’assenza di riscontri oggettivi e soggettivi, molteplici sono state le criticità portate all’attenzione dell’autorità giudiziaria procedente dalla difesa, le cui indagini, come si legge in sentenza, hanno “profondamente minato la credibilità della presunta vittima, mettendo in rilievo una dinamica dei fatti obiettivamente poco credibile.
Innanzitutto, il contenuto delle dichiarazioni rese dalla donna nelle varie occasioni che si sostanzia in un coacervo accusatorio caratterizzato da forti contraddizioni relative non solo al modo in cui gli eventi si sarebbero verificati, ma anche al luogo teatro di tutta la vicenda, per cui un’iniziale doglianza per una presunta affermazione del dipendente allo sportello sarebbe divenuta, nelle successive occasioni di contatto con la polizia, dapprima, un tentativo di abbraccio e poi palpeggiamenti all’interno di un luogo buio e chiuso dell’ufficio CUP del “Moscati” ,peraltro non rinvenuto nei vari sopralluoghi effettuati sia dalla polizia giudiziaria. che dai consulenti di parte. A rendere poco credibile le accuse mosse al dipendente, inoltre, è stata la ristretta forbice temporale, tempo al quale la difesa è risalita estrapolando ed analizzando la quadratura contabile dal computer della postazione di lavoro del dipendente. Una fitta sequenza di atti ed eventi, quelli descritti dalla donna, che nemmeno a forza riescono a collocarsi nei 2 minuti che residuano tra una prestazione e l’altra.
Tanti gli elementi, dunque, che, uniti al contributo testimoniale dei soggetti presenti, sono stati determinanti nella ricostruzione degli eventi che appare così disallineata rispetto a quella che sembrava profilarsi in un primo momento sulla scorta delle dichiarazioni della querelante e che hanno spinto il Gup del Tribunale di Avellino, nell’udienza dell’11 Aprile, ad emettere sentenza di non luogo a procedere con formula assolutoria piena, perché il fatto non sussiste.
Risultato soddisfacente per la difesa che potrebbe continuare nel solco delle denunce sporte, all’epoca dei fatti, dal dipendente nei confronti, rispettivamente, della donna e del coniuge per calunnia e aggressione.