“Sosterremo lo sforzo tenacemente unitario della segretaria per costruire una alleanza ampia, senza accettare o porre veti. E ricordiamo che più siamo forti noi democratici, più saremo in grado di aggregare”. Le parole di Vincenzo De Luca alla Festa dell’Unità di Procida hanno segnato nel Pd l’inizio di una tregua che è destinata a durare.
Per ora, il governatore sembra non voler mollare il terzo mandato, ma non ne parla apertamente. Invece pubblicamente riconosce a Elly Schlein la guida del partito. Ha promesso alla segretaria: “Avrai il nostro sostegno libero e incondizionato se vorrai andare avanti così. Senza il Pd il Paese non si salva”.
Sembra passato un secolo da quando De Luca presentava il libro “Nonostante il Pd”, definiva i dem “anime morte”. Inutile tornarci sopra. Schlein ha consolidato la sua leadership dopo le Europee. Il partito ha retto nei vari appuntamenti elettorali. E ora c’è la battaglia per l’autonomia.
Il Nazareno ha digerito Schlein, l’ha metabolizzata. De Luca non può che starle accanto.
Mettersi contro di lei oggi significherebbe tirare da subito la volata ad un altro candidato alla Regione. Magari a Gaetano Manfredi, il sindaco del campo largo, che a Napoli unisce Sinistra, Pd, M5s e moderati. Una alleanza elettorale bella e pronta, che rispecchia il modello nazionale. A Schlein basterebbe semplicemente battezzare Manfredi candidato alla Regione.
Intanto dalla parte di De Luca ci sono i fedelissimi, un centrosinistra spurio e ben attrezzato, radicato, una grande armata politica composta da dem e moderati di primissimo piano: sindaci, consiglieri regionali e comunali, amministratori che occupano istituzioni ed enti.
Con De Luca c’è l’apparato, una struttura di potere solidissima, ben rodata. Non ci sono i 5stelle, a Palazzo Santa Lucia sono fieramente all’opposizione: impossibile per il governatore trovare una intesa con Giuseppe Conte. Con De Luca il campo largo non esisterebbe. Ma senza De Luca in Campania non ci sarebbe il centrosinistra in Campania. La questione è delicata, il presidente e la segretaria devono giocarsela bene la partita. Senza strappi. E la discussione non può che essere affrontata con un dibattito interno al partito.
Ma il Pd della Campania è commissariato dalla scorsa primavera, da quando Schlein ha indicato alla guida dei dem il senatore Antonio Misiani.
All’origine della decisione della leader presunti finti tesseramenti, brogli e irregolarità di vario genere durante le primarie. Ad un anno mezzo di distanza, i tempi per un congresso ci sono: lo ha detto l’europarlamentare Sandro Ruotolo sabato scorso durante l’incontro organizzato dal circolo Aldo Moro ad Avellino. Il terzo mandato passa allora per un congresso regionale. E se ci saranno le condizioni per il tris, il governatore avrebbe dalla sua il Pd. Altrimenti potrebbe cedere il passo restando comunque protagonista del centrosinistra. Schlein e De Luca hanno bisogno l’uno dell’altro.
Stesso discorso vale per il Pd irpino. Se è vero che dal momento dell’indicazione di Nello Pizza alla segreteria i rapporti di forza tra le correnti sono cambiati, che negli organi di partito ci sono ancora riferimenti dell’ex sindaco Gianluca Festa, espulso dal partito, e del consigliere regionale Livio Petitto, passato oggi nel centrodestra regionale, se è vero che la vittoria delle Schlein ha portato nel Pd energie nuove e una nuova idealità, un nuovo modo di concepire il Pd e il centrosinistra, allora quale occasione migliore di un congresso per digerire, legittimare, rendere manifestato, rappresentare il cambiamento? Tra l’altro sarebbe un momento di ascolto del territorio, uno spazio politico per affrontare temi reali e cruciali per lo sviluppo futuro dell’Irpinia, sarebbe una occasione per mobilitare gli iscritti e coinvolgerli.
Ma se la parola congresso suona male, come una dichiarazione di guerra tra le aree, si potrebbe chiamare sommariamente, semplicemente, senza ansia, prosaicamente verifica politica. A patto che non sia un assalto alla segreteria. Non è il momento della guerra: questo il messaggio di De Luca e di Schlein.