Virgilio Iandiorio
Gli antichi dicevano che le parole volano (Iliade, I 201) noi post moderni badiamo di più al loro peso. Per noi, infatti, le parole sono diventate leggere (Lalla Romano, 1969). Le parole si logorano con l’uso, alcune sono più resistenti perché hanno una struttura coriacea, altre vengono abbandonate strada facendo. Ma nella lingua “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. E così abbiamo new entry, cioè novità, remake, vale a dire riedizioni, quasi riesumazioni, ripescaggi di parole che sembravano scomparse.
Questa nostra civiltà di parole (l’espressione è il titolo di un significativo libro di Giacomo Devoto edito nel 1965) rischia ad ogni piè sospinto di smarrire la strada delle sue parole, il senso della vita che in esse è racchiusa. Le parole entrano attraverso strade principali o secondarie, superstrade o viottoli di campagna, nel nostro quotidiano parlare, nel nostro spazio geografico.
Grazie ad una battuta, felice, o infelice, di un politico, alcuni anni fa venne in auge la parola “fannullone”. Tutti i vocabolari della lingua italiana riportano abbondantemente questo termine; ma io sfido a trovare qualcuno che in precedenza (cioè prima della quella battuta di spirito) ne avesse fatto uso abitualmente nelle sue conversazioni con gli amici, al bar, in famiglia o nel luogo di lavoro. Forse a scuola, qualche insegnante si sarà lasciato scappare la parola all’indirizzo di qualche studente recalcitrante allo studio.
Fannullone è qualcosa di più di quelle espressioni colorite che usavano le nostre nonne, ad indicare sempre la persona che non faceva niente, e non aveva voglia di fare niente. Ricorderete quegli aggettivi pregni di disprezzo, quali “debosciato”, “vastaso”, che si usavano nei nostri paesi. Eppure sono aggettivi di importazione: il primo dalla Francia e il secondo dalla Sicilia.
Fannullone è qualcosa di più di “poltrone”, “scaldapanche”, “scansafatiche”, “scioperato”, “sfaccendato” o “sfaticato”. Fannullone è più che “ozioso” (ricorderete il nobile “otium” dei Romani antichi), perché l’ozioso non fa lavorare il corpo ma tiene in esercizio la mente. Nel fannullone c’è l’inerzia del corpo, dello spirito e dell’intelletto.
Eppure anche questa parola, fannullone, è a noi derivata dal francese; e in questa lingua è già attestata nel XIV secolo. Con il Secolo dei Lumi divenne un prodotto di esportazione.
Non dobbiamo nemmeno dimenticare che gli storici nel XIX secolo per indicare gli ultimi Re Merovingi ( VII-VIII secolo) usarono l’appellativo di “re fannulloni”; vale a dire sovrani dal potere apparente, perché quello vero veniva esercitato dai Maggiordomi di Palazzo.
Se furono chiamati “fannulloni” i re merovingi, una ragione doveva pur esserci. Evidentemente l’attributo se lo merita chi è chiamato a gestire alti uffici, ma non sa assolvere i suoi compiti per i motivi più vari. E noi oggi ne abbiamo diversi esempi.
Non dobbiamo nemmeno dimenticare che gli storici nel XIX secolo per indicare gli ultimi Re Merovingi ( VII-VIII secolo) usarono l’appellativo di “re fannulloni”; vale a dire sovrani dal potere apparente, perché quello vero veniva esercitato dai Maggiordomi di Palazzo.
Se furono chiamati “fannulloni” i re merovingi, una ragione doveva pur esserci. Evidentemente l’attributo se lo merita chi è chiamato a gestire alti uffici, ma non sa assolvere i suoi compiti per i motivi più vari. E noi oggi ne abbiamo diversi esempi.