Un percorso di ricerca che si fa strumento per riflettere sull’esistenza, per comprendere la meraviglia dello stare al mondo. Una meraviglia che non può non essere legata al rapporto tra il sé e gli altri, alla capacità di superare egoismi e tornaconto personale per riscoprire il valore delle relazioni. E’ la nuova raccolta del poeta Nicola Prebenna Per Cieli Nuovi e Terra Nuova, edita da Terebinto, inserita nella collana Carmina Moderna. Sarà presentata martedì 25 marzo, alle 18, presso il Circolo della Stampa di Avellino. A confrontarsi con l’autore Sergio De Piano e Angelo Michele Imbriani, con la moderazione di Floriana Guerriero. Nicola Prebenna esplora ancora una volta temi universali come il tempo, la memoria, il dolore e la redenzione, attraverso un itinerario interiore che parte dall’inquietudine per approdare alla speranza. E’ il critico Carlo Di Lieto a sottolineare come la sua poesia “apre un varco luminoso al grigiore dell’esistenza e un bagliore di luce tenue sull’oscuro Male della Storia umana”. Per ribadire come “Nella parola del poeta c’è l’ultimo possibile riscatto; la fuga dal Sé si interiorizza come forma di pacificazione liberatoria e con la sua cadenza indocile di un meditare inquieto: «Avvolgetemi nel calore dei versi / che ho deposto nel solco del tempo / e della mente; lasciate che il corpo / si muti conforme alle leggi di natura; / l’anima mia disseminata nelle parole / e trapiantate nelle poche opere / qui e là germinate conforto riceva / dal memore pensiero e dall’affettuosa / immersione nella vita che fu / e che ci vide con giunti alla conquista / del bene e intenti a fuggire / il male e i suoi frutti» (La vita e oltre)”.
E’ Virgilio Iandiorio a spiegare nella postfazione il senso di cui si carica il titolo: “L’aggettivo “nuovo” è riferito sia al Cielo sia alla Terra. Il nostro poeta ha voluto evidenziare il suo coinvolgimento totale nella prospettiva della vita futura, quella che ci attende dopo la morte, ma anche nell’immediato, nei momenti che viviamo istante per istante. Nell’una e nell’altra dimensione, vuole dirci, la vita va rispettata e vissuta insieme a coloro che abbiamo intorno o incontriamo fugacemente: «pronti tutti ad intonare il canto di grazie / per la vita che ovunque respira».” Ancora una volta centrale è, dunque, il rapporto tra l’individuo e l’infinito, tra la realtà quotidiana e la trascendenza. L’uomo non può non rivolgere lo sguardo a ciò che c’è al di la del reale: “Osa lo sguardo smarrirsi oltre gli astri/vicini e lontani, sfugge alla stanchezza/dei tanti mali disseminati su questa infinitesima particella di infinito, /e si smarrisce. Si dilatano gli orizzonti/nella profondità del cuore che si popola/di galassie sterminate e di nuovo/volto terrestre, fatto di mitezza, /d’amore universale, di condivisione/con i poveri di borsa e di spirito, /pronti tutti ad intonare il canto di grazie (… )cieli nuovi s’apriranno,/che anche la terra osi ripresentarsi nuova!”.
Prebenna si interroga sulla bellezza dell’universo, sul seno dell’esistenza stessa, per scoprire come questo significato si nasconde nel senso di fratellanza e armonia con gli altri esseri viventi “Quale conforto rimane /a noi della contemplata variegata/ bellezza dell’universo? Lo sforzo/espresso a fare dei nostri istinti/l’occasione per tessere note d’armonia/con i nostri fratelli, con gli esseri/che ci danno nutrimento, con la natura/che ci coccola e ci conforta./E forse avremo sfiorato un lembo di paradiso”.
Lo sguardo dell’io poetico appare sempre proteso verso gli altri “Il mio cruccio è che per i fratelli io e forse altri non facciamo abbastanza”. Il dolore dell’individuo è il dolore di tutti “Intanto che si contano le croci “s’aspetta che arrivi/e non importa se non sarà fra tre giorni/che arrivi/per tutti/l’invocata resurrezione” come accadde all’Aquila nel 2009, dopo il terribile terremoto. In questo percorso la fede si fa speranza “Dall’ansia d’infinito/nutrito, s’adopra a ricucire/lacerazioni, morti e saccheggi:/ forza è la speranza,/il perdono non dato/ma umilmente richiesto./Si staglia tra ombre brevi/un’anima sola con tante colpe,/non sue, e tanto desiderio/di affogare nell’amore/l’ansia della ripartenza”.
Quella fede si fa strumento capace di spalancare orizzonti “ed ora il servizio sacro, ora l’amore/per il sapere, ora l’ardore della santità,/ora la scelta della dedizione/estreme variazioni si facevano/all’ansia di bene senza limiti./E non cessa l’ardore di inseguire sempre/e dovunque il bene intravisto e inseguito./L’animo si riconforta”. Perchè l’amore non svapora “Il buio della chiusura, benché tardi, /s’è dissolto e regna, sereno, l’amore che infine s’è dischiuso e dissemina germi di fecondità” anche se la sofferenza rimane “Altra ferita ha lacerato il mio cuore, /grande quanto la distesa di terra/bruciata che ancora arde di desiderio/forte di salvifica acqua che non arriva./Gli fanno eco in lontananza nuvole/di fumo che altre ferite in altre zone/disseminano e sempre più il cuore/è stritolato dalle lacerazioni profonde”. Malgrado ciò, ci ricorda Prebenna, è ancora possibile sperare “Condividiamo il dono della vita, e speriamo/che duri, fino al calare del sole sulle acque/o dietro le colline vicine. La vita, così, non ci ha ingannato e noi condividiamo/la gioia della sua generosità”