“L’adolescenza e le periferie parlano la stessa lingua, rivendicano lo stesso spazio di esistenza in costante trasformazione”. Spiega così Elena Prola il progetto “E’ da stesi che si vedono le nuvole”, vincitore del concorso fotografico intitolato alla memoria di Ettore De Socio, ideato e promossa dalla famiglia e dall’associazione Controvento con il patrocinio dell’amministrazione provinciale, dedicato quest’anno a “Periferie. Confini Labili”, conclusosi questo pomeriggio con la premiazione dei vincitori e l’esposizione delle opere premiate al Museo Irpino, “Sono partita – prosegue Prola – dal paese in cui abito, Sesto San Giovanni, dallo spazio del Carroponte, struttura monumentale un tempo utilizzata per sollevare acciaio e oggi riconvertita in spazio culturale, teatro di concerti e performance notturne. Ho voluto raccontare come questo luogo racconti di giorno qualcosa di invisibile. Sdraiati sull’erba, appoggiati ai bordi di un palco, protagonisti sono i giovani che abbandonano l’asse verticale per cercare una postura più prossima all’ascolto. E’ così che passato e presente si fondono, dagli echi della resistenza operaia a una diversa forma di resistenza collettiva, più intima, per tornare a guardare il cielo. La postura diventa gesto politico, ribellione autentica”.
Al giornalista Generoso Picone il compito di raccontare l’evoluzione del concorso, nato dalla volontà di ricordare un protagonista dell’universo culturale cittadino attraverso un progetto di qualità che possa superare i confini nazionali “La scommessa resta quella di una rassegna che possa diventare un appuntamento fisso nella programmazione del Museo Irpino. Quest’anno sono state 80 le opere che hanno partecipato al premio. L’attenzione è stata rivolta ai luoghi posti al margine, alle loro contraddizioni e trasformazioni, la periferia diventa nelle immagini premiate non solo una parte di mondo ma anche un luogo irrisolto dell’anima. Un percorso realizzato quest’anno in collaborazione con Photo Diego con la promozione di laboratori capaci di avere una ricaduta sul territorio”. E’ quindi il figlio di Ettore Fulvio a ribadire come “Questo concorso rappresenta per me un privilegio e una possibilità. Il privilegio è quello di condividere con voi il ricordo di mio padre, trasformando il lutto in uno spazio di bellezza. Ciò che mi ha colpito nelle opera premiate è la dimensione della sospensione, della indefinitezza intesa come possibilità. La sospensione è quella che caratterizza la periferia di Emanuele che è stata qualcosa ma dovrà diventare altro, è nei volti degli adolescenti, pronti a cambiare pelle nel loro processo di crescita, è nel limbo nel quale vivono i migranti di Ceuta raccontati da Nicolas. O ancora è nel progetto di Angelica che consegna uno spazio che avrebbe potuto essere altro”
Ad impreziosire il concorso la presenza del critico Augusto Pieroni che pone l’accento sulla forte valenza di cui si caricano le periferie “come luoghi con una loro specificità, capaci di rappresentare un antidoto all’omologazione Ad emergere con forza la labilità dei confini di spazi che finiscono per trasformarsi in centro, da che erano periferie ma anche l’importanza di avere il coraggio di rischiare”. E’ Emanuele Gaudioso con “My My”, vincitore della menzione speciale, a raccontare come il suo progetto scelga di esplorare Bucaletto, paese in provincia di Potenza dove persiste un’emergenza abitativa mai risolta, nata all’indomani del terremoto del 1980, a cui si affianca la vecchia acciaieria, una mini Ilva che continua a uccidere “Concepite come una soluzione temporanea, le abitazioni di Bucaletto sono diventate una realtà permanente. Un luogo segnato dal disagio e della frammentazione. Solo di recente sono iniziati i lavori di demolizione per riqualificare l’area e riconnetterla al tessuto urbano. Ci troviamo di fronte a un luogo che cerca una nuova identità ma continua ad essere fortemente influenzato dalla sua storia industriale”. Uno sguardo sull’abbandono è anche quello che consegna Angelica Paciocco con Utomia “nel cui nome si intreccia ‘utopia’ e ‘autonomia’, viaggio in un paese abbandonato dell’entroterra lucano, margine fisico e soglia esistenziale, tra storie reali e visioni mancate, a partire dal progetto del conte Rendina che in questo borgo cercò di fondare una comunità ideale, ispirata ai principi del socialismo utopistico ottocentesco perchè non ci fossero più povertà e ingiustizie sociali. Un esperimento di cui restano solo i ruderi, poichè quello che era un progetto visionario si è fatto rovina. La periferia diventa così metafora di un’Italia dimenticata, di sogni sociali non realizzati ma anche di un margine in cui l’essere umano si ritrova a vivere tra nostalgia e possibilità”.
Secondo classificato Nicholas Brunetti con “Inshallah” che si interroga sulla condizione in cui vivono i giovani di Ceuta, città spagnola in Marocco, “Ho provato a raccontare attraverso le storie di giovani musulmani che vivono qui una città di frontiera segnata da contrasti e da un alto tasso di disoccupazione, periferia in bilico tra due continenti. Il progetto esplora le aspettative del barri Principe Alfonso, quartiere arabo, isolato, sulla collina, al confine con il Marocco. Un luogo con una storia segnata da violenze, narcotraffico dove i giovani si sentono divisi tra il rischio di entrare in circuiti criminali e il desiderio di riscatto attraverso lo studio, costretti a fare i conti con il controllo interno di una comunità che li osserva e con il desiderio di fuga, tensioni simboleggiate dal mare aperto, confine fluido e dalla Valla, barriera artificiale tra Spagna e Marocco. Uno spazio dove si ridefiniscono identità e appartenenza”.
La mostra sarà visitabile fino al 10 gennaio 2026, dal martedì al sabato (domenica e lunedì chiusura), dalle ore 9 alle ore 13 (ultimo ingresso alle ore 12:30) e dalle ore 16 alle ore 19 (ultimo ingresso ore 18:30).