Subito dopo l’unità d’Italia, in un Paese che si andava organizzando con difficoltà intuibili su nuove basi, si ebbero nella vita parlamentare posizioni politiche ibride, ambigue, spesso anche dei cambi di casacca e di opinioni sorprendenti, da far gridare al “trasformismo”.
Le critiche coinvolsero anche il liberale Cavour, accusato di contiguità con il “centro- sinistro”, così si chiamava allora, di Urbano Rattazzi. Un’accelerazione al fenomeno provvide poi a darla Agostino Depretis, che chiese il sostegno al suo governo progressista di tutti i deputati , a prescindere dagli schieramenti tradizionali, considerati superati. A far discutere però molto fu la clamorosa adesione della destra di Marco Minghetti. Alla fine la scelta di Depretis, per le motivazioni addotte, passò come uno “stato di necessità” e tale archiviato dalla storia. Altri tempi, altre coscienze. Per comparare il passato con il presente, alla luce di quanto visto negli otto mesi dal varo del governo Lega- M5s- confliggente e conciliante, di lotta e di governo, antisistema e sistemico, quest’intesa si può ancora vedere come conseguenza di “uno stato di necessità” o è ora di considerarla per quella che è e si sta dimostrando : la più grande operazione di trasformismo? Bisogna dire che all’iniziale credito da “stato di necessità”, derivante dall’esito di un voto e di una legge elettorale paralizzanti, si sta lentamente e inesorabilmente materializzando ben altro. Traducibile in una “spartizione” puntigliosa di poltrone, una navigazione a vista senza una visione di serio futuro del Paese, imbrigliato e impedito dalle griglie dei rispettivi capisaldi programmatici, non risolti ma accantonati da una cronica moratoria, da sospensive che saziano la pancia dei duali fondamentalismi ma tolgono ogni speranza di sviluppo. Tutti i temi trattati, anche i più spinosi, dal reddito di cittadinanza, al “no al processo Salvini” per il caso Diciotti a finire allo stop dei lavori della Tav, a far decidere non è mai un serio “stato di necessità” ma solo l’incubo di dover lasciare la “stanza dei bottoni”. Ricordando il modo subdolo, freddo, irritato con cui Salvini si comportò nei due, tre mesi di consultazioni su ipotesi eventuali di un esecutivo di centrodestra, non si pecca nel pensare che questi signori al governo avessero già deciso di tenere in piedi un “tiremmolla”, ben orchestrato per approdare come salvatori al “con – tratto salva paese”, in realtà, delle beffe. E che questa non sia dietrologia, lo conferma la reiterata professione di fede del leader maximo leghista nei riguardi del vice premier Di Maio, esternata qualche giorno fa, dopo la ciambella di salvataggio dei Cinquestelle, cui pubblicamente ha confermato fedeltà, amicizia e il giuramento di stare insieme per tutta la Legislatura. Costoro ridono, troppo spesso, anche in circostanze serie: ma si rendono conto delle nubi che si addensano sul nostro Paese- previste non dalle belle meteorine, ma da ricerche e studi rigorosi, che lasciano prevedere enormi difficoltà se non si cambia registro?. La recessione non è più una minaccia, è già tra noi. Lo spread non arretra. Larga parte dei Cinquestelle è in subbuglio. Il centrodestra non esiste più ma esiste ancora di più Berlusconi; Salvini con il suo 32%, da solo, vale quanto due di coppe con la briscola a denari. Basta ipocrisie: il governo M5S –Lega, nato per uno “stato di necessità”, ha fatto quadrare soltanto le proprie necessità, “proverbiali capricci”. Erano contro le spartizioni, e le fanno. Erano contrari ai vertici, e ne fa dieci al giorno e venti di notte. Per usare il linguaggio della saggezza contadino degli anni Cinquanta, dell’indimenticabile onorevole del Pci Antonio Bello: questo governo va fermato. E’ una “cricca” di trasformisti.
di Aldo De Francesco