Il durissimo botta e risposta tra Grillo e Conte e la divaricazione che sta attraversando il Movimento Cinque Stelle ha ovviamente un effetto anche sul governo. E’ in gioco il futuro del primo gruppo parlamentare, infatti nonostante i tanti espulsi e fuoriusciti, i Cinque Stelle hanno ancora 162 deputati e 75 senatori anche se il 32 per cento dei consensi ottenuto nel 2018 sia, stando ai sondaggi, quasi dimezzato.
Beppe Grillo è stato determinante nel far nascere il secondo governo Conte creando le condizioni per un rapporto con il PD e pochi mesi fa quando ha dato il suo via libera all’esecutivo di larghe intese guidato da Draghi. Adesso, dunque, occorre evitare di alzare il tasso di conflittualità all’interno del governo soprattutto alla vigilia del semestre bianco. E dentro la coalizione un occhio più che attento alle vicende del Movimento è quello del partito democratico. Enrico Letta sta provando a costruire un percorso che partendo dai comuni e dalle regioni si trasformi in un’intesa elettorale a livello nazionale.
Per queste ragioni ha già fatto sapere che se non si dà vita a questa alleanza, alla prossime elezioni sicuramente vincerà il centrodestra. Letta inoltre ha investito, così come il suo predecessore Zingaretti, nel rapporto privilegiato con Conte, che tra i leader Cinque Stelle, è la personalità che più ha sposato l’alleanza organica con il PD. Quindi il riflesso delle lacerazioni in atto nei Cinque Stelle ha un punto di caduta nel governo Draghi dove potrebbe crescere il peso del centrodestra e in particolare della Lega. Se non si vuole lasciare questo spazio a Salvini e Giorgetti, il PD dovrà scegliere quale strada imboccare in attesa dell’evoluzione del rapporto tra Grillo e Conte con il barometro che segna tempesta.
Lo scontro interno inoltre espone il Movimento ad una certa autoreferenzialità più che a guardare all’interesse generale del Paese. Insomma come ha scritto Alessandro De Angelis su Huffington Post sta andando in scena “l’ennesimo step di quel collasso dei partiti che ha portato al governo Draghi. Non una parola sul governo, che andrà avanti perché questa legislatura è un ammortizzatore sociale delle anime inquiete che non torneranno più. Non una parola sui miti fondativi dei tempi che furono, l’onestà, la democrazia, la cittadinanza.
Conte si pone come il rifondatore che non vuole dare solo un’imbiancatura, ma al di là degli statuti non si capisce quali siano le nuove fondamenta. Si capisce però che, dopo aver chiesto al padre un parricidio consensuale, ha scelto per la prima volta di misurarsi col consenso, che è il vero punto che ha caratterizzato la fragilità della sua leadership. E, probabilmente, è il primo vero atto da leader. Che comporta comunque dei rischi, perché, se resta, la diarchia lì dentro non è solo questione di regole ma anche di carisma e le parole sono incancellabili. Si troverà a misurarsi con il consenso nel paese, che è un po’ più complicato di una piattaforma interna”.
Quello che stanno vivendo i Cinque Stelle è una crisi simile a quelli dei partiti tradizionali a cui per anni hanno fatto la “guerra”, una sorta di bagno di normalità per un Movimento nato per rompere ogni schema e costruire una forma politica diversa basata sulla democrazia diretta. I tempi del blog, dello streaming per le prime consultazioni di governo, dell’onestà urlata a squarciagola davanti ai palazzi del potere, sembrano lontanissimi. I cinque Stelle di oggi non sono più quelli del vaffa ma per certi versi incarnano l’establishment. La guerra Grillo-Conte non lascia spazio a mediazioni e bisognerà vedere se anche stavolta, come è accaduto ad altri partiti e movimenti, vincerà il principio “extra ecclesiam, nulla salus”.
di Andrea Covotta