Dopo oltre sette mesi di “governo del cambiamento”, con martellante sbandieramento di programmi innovativi per la crescita della nostra economia, la dura realtà dei conti confina l’Italia come l’unico paese dell’Eurozona a registrare la contrazione del Pil.
È un segnale da non sottovalutare, soprattutto da parte degli attuali governanti, sempre pronti a dichiarare che la colpa è dei passati governi, mentre il futuro economico dell’Italia, per loro merito, sarà in netto miglioramento. I più sereni e avveduti osservatori della situazione italiana ritengono che c’è ancora tempo per intervenire efficacemente. Poco tempo ancora, ma un margine di tempo c’è. Lasciando ai competenti la responsabile ricerca di soluzioni urgenti e necessarie e abbandonando serenamente le facili, benché meritate valutazioni sulla incompetenza degli attuali governanti, qualche doveroso approfondimento sulle ragioni che hanno generato l’attuale deriva democratica o de-democratizzazione, come la definiscono alcuni autorevoli studiosi come Wendy Brown, definendola come nuova forma di corruzione della politica. Si tratterebbe, in sostanza, di una sottile minaccia alla democrazia, senza macroscopiche aggressioni dei suoi principi, anzi ostentazioni, persino la loro invocazione. Il populismo è un germoglio in crescita di tale corruzione, negando ogni mediazione istituzionale per ritrovare l’unità fittizia del “vero” popolo, come l’unica fonte massima per il conferimento del consenso e dei poteri ad esso collegati. L’altra causa della de-democratizzazione è da ricercarsi nella “delocalizzazione” dei centri reali di decisione. Il territorio è stato privato di tale centralità, mentre Bruxelles, per l’Europa ha accentrato nella sua burocrazia senza anima, tutto il potere che avrebbe dovuto rispondere con immediatezza alle esigenze materiali ed immateriali delle comunità. La risposta a questa deriva, prima che diventi irreversibile, è la risorsa dell’umanesimo civile che ha sempre, nonostante periodi bui, rappresentato il grande patrimonio umano, civile e sociale del villaggio globale. L’espressione dell'”umanesimo civile” afferisce allo storico tedesco-americano Hans Baron che, con riferimento all’abbandono dell’ambito esclusivamente contemplativo della cultura umanistica, ravvisa la grande fioritura di pensiero nelle città italiane del Rinascimento. La sensibilità repubblicana per la cosa pubblica ha sempre alimentato, attraverso i secoli, la partecipazione dei cittadini al cuore pulsante della politica, mossi non unicamente – come purtroppo oggi avviene – dall’interesse e dalla competizione. Quello civile è un necessario legame di coesione sociale che è propedeutico alla progettualità e governabilità delle nostre comunità. Questo deficit di partecipazione ha amplificato deleteriamene gli effetti di una globalizzazione basata solo sulle regole del mercato e sulle procedure. La collera che caratterizza la nostra epoca, a livello globale, dovrebbe tradursi – almeno a livello locale- in un governo associativo di cura dei conflitti, con un trattamento civile degli stessi, come slancio dinamico delle nostre democrazie. Purtroppo oggi ci accorgiamo che dopo decenni di desertificazione culturale – in Italia e in Europa per un riferimento a noi più prossimo – la corruzione della politica, il populismo di facile metabolizzazione, il disorientamento delle forze sociali sempre meno apprezzabili dalla diffusa mancanza di umanesimo civile, configura questo nuovo anno come peggiore di quello precedente. Nell’attuale società definita dal Censis “rancorosa” e “incattivita” riaffiori la consapevolezza delle fondate potenzialità dei cattolici per una urgente ed efficace inversione di tendenza: i cattolici in Italia ci sono e sono presenti anche a livelli apicali del nostro sistema politico e nella preziosa e articolata rete della vita sociale. La loro presenza non unitaria non può ulteriormente costituire un alibi per giustificare la loro inerzia. Il laicato cattolico italiano non può ulteriormente alimentare la “grande assenza” e lasciare spazi politici fondamentali agli improvvisati demagoghi, senza pensiero e senza competenze. Anche all’interno della nostra realtà cittadina e provinciale non è più lecito a nessuno – ai cattolici in particolare – ritenere che altri, e non noi, debbano risolvere i sempre crescenti bisogni umani, civili e sociali.
di Gerardo Salvatore