“Ho sempre creduto in un giornalismo indipendente e attento al bene comune. Un giornalismo che richiede coraggio e determinazione, ma soprattutto preparazione, sempre più messo in discussione dalle leggi che finiscono per minare la libertà di stampa”. Spiega così il giornalista di Report Sigfrido Ranucci, che più volte ha denunciato le pressioni subite dalla trasmissione in onda su Rai 3, simbolo del giornalismo d’inchiesta, l’idea da cui nasce “La scelta”, libro che unisce racconto pubblico e privato. ll volume sarà presentato il 5 aprile, alle 18, al Carcere Borbonico, nell’ambito di un incontro promosso da Per Aenigmata. Ranucci sottolinea come i suoi maestri siano stati Roberro Morrione e Milena Gabanelli “da cui ho ereditato Report. Mi hanno insegnato che il giornalismo non deve mai smettere di difendere la libertà di stampa, deve essere un cane da guardia della democrazia, è questa la scelta da rispettare. Se dovessi spiegare la mia idea di giornalismo con una metafora, parlerei di un jazzista cieco che si trova a dover attraversare una New York piena di traffico, sente una mano sulla spalla e pensa sia qualcuno che vuole aiutarlo. Invece, è un altro cieco che chiede aiuto e così deve trasformare la sua mancanza in un’ancora di salvezza. Allo stesso modo il giornalismo deve vincere le difficoltà e diventare un pastore maremmano, capace di indicarci la strada, nel momento di complessità che oggi viviamo”.
Pone l’accento sulle troppe leggi bavaglio che rendono sempre più difficile in Italia e in Europa fare questo mestiere, imponendo sempre maggiori restrizioni e vincoli ai giornalisti “Di questo passo stiamo andando verso l’oblio di Stato. Siamo il paese con più politici che denunciano giornalisti”. Ricorda i giornalisti italiani sotto scorta e cita alcune delle inchieste di Report “come quella in cui abbiamo documentato l’uso di armi chimiche, in particolare il fosforo bianco, e l’uso indiscriminato della violenza contro i civili da parte delle forze militari statunitensi nella città irachena di Falluja durante l’offensiva del novembre 2004. Fino alla denuncia delle infiltrazioni mafiose”. Sottolinea come “il giornalismo legato ai social privilegia la notiziabilità, l’informazione affidata ai social è quella che definirei un bibliotecario ubriaco. La notizia non necessariamente è vera, anche se la troviamo in evidenza. E’ chiaro che ci si difende solo con una buona dose di consapevolezza critica”. E sulla forza di una trasmissione come Report spiega come “interpretiamo al meglio l’idea di un giornalismo che tuteli i diritti dei cittadini e interpreti l’idea di servizio pubblico. Conservo con emozione la lettera di una ragazza ammalata di tumore che mi ringraziava per l’impegno quitudiano con Report, trasmissione più volte oggetto di querele. Ero diventato uno di famiglia”. E spiega che anche “i cittadini devono imparare a difendersi dalle false notizie, controllando e confrontando le fonti, sviluppando un forte spirito critico”